venerdì 7 dicembre 2012

Quando la credibilità è tutto

Sostiene Antonio Padellaro nel suo ultimo editoriale che
i Professori ne hanno combinate di cotte e di crude tirando il collo a un’economia già collassata, accanendosi contro i pensionati, tagliando a colpi di accetta la sanità pubblica, creando masse crescenti di disoccupati. Ma è del tutto irresponsabile far cadere di colpo un governo che commissariando l’Italia per conto dell’Europa si è comunque ritagliato una certa credibilità internazionale.
Cioè, per Padellaro abbiamo l'economia al collasso, i pensionati nella miseria, i tagli alla sanità e la disoccupazione di massa. Ma nulla di tutto ciò importa, perché abbiamo una certa credibilità internazionale. Che in realtà, nel linguaggio della sinistra, è da tradurre ci siamo liberati di Berlusconi.

In nome di quello la nostra sinistra sembra oggi disposta a tutto, anche a votare un governo la cui politica sta danneggiando la crescita del nostro PIL, che dovrebbe essere invece la priorità vista l'ultradecennale difficile situazione economica e finanziaria del paese.

Ma cosa ancora dovrebbe accadere per giustificare un, seppur tardivo, ripensamento su questo governo?

mercoledì 28 novembre 2012

Quando Grillo era a favore dell'Euro

Tutti sanno che Beppe Grillo ha proposto che l'Italia esca dall'Euro. Queste le sue parole:
Io sono per valutare una seria proposta con il minore danno possibile di rimanere in Europa ma di uscire dall'Euro
Successivamente ha precisato di non volere l'uscita dall'Euro, ma di volere che si tenga un referendum sulla permanenza dell'Italia nell'Unione Monetaria Europea:
Non ho mai detto che voglio uscire dall'euro. Ho detto che voglio un referendum senza quorum per far decidere i cittadini sull'euro
Il che equivale a nascondersi dietro a un dito: il referendum può avere due esiti, a favore o contro l'Euro. E se lo si chiede non è certo per ottenere il primo. Ma tant'è.

Chi legge questo blog sa che il suo titolare è critico verso la moneta unica. E pertanto non stigmatizza queste prese di posizione. Ma il popolo del Coglionistan deve sapere che ancora una volta viene preso per i fondelli: c'è crisi, e il capo-popolo se la prende oggi con l'Euro. Ho scritto oggi, perché ieri non era così. Infatti il 5 Giugno 2005 un altro capo-popolo in un altro momento di crisi economica chiedeva la doppia circolazione Lira-Euro, con la prima legata al Dollaro, nonché un referendum sulla questione.

Allora però Grillo rispondeva così sul suo blog (il grassetto è mio):
L’Europa ci chiede di fare riforme strutturali e la Lega Nord si dichiara orgogliosa dei debiti accumulati e chiede di uscire dall’Euro, usato come alibi per una politica fallimentare. L’uscita dall’Euro condurrebbe il Paese alla rovina definitiva.

Potrei continuare ricordando che all'epoca del dibattito sull'adesione all'Unione Monetaria europea la Lega la pensava in maniera diametralmente opposta ("euro per la Padania e la lira per il centrosud"). In fondo i capi popolo (e le loro folle) si assomigliano.

martedì 9 ottobre 2012

Impazzimento

Il Fatto Quotidiano spara in prima pagina la "notizia" che Fiorito coi soldi pubblici si si sarebbe addirittura pagato la campagna elettorale.


Ma pensa un po' che notizia clamorosa, specie dopo che il finanziamento pubblico ai partiti è ufficialmente un rimborso elettorale.

Direte che formalmente quei soldi servivano per il gruppo consiliare. Magari allora ditemi quale uso legittimo avrebbero potuto farne senza rischiare un'improbabile accusa di peculato, come se i consiglieri regionali fossero dei pubblici ufficiali.

Ma allora a che serve?

Uno va sul sito del Sole24Ore e vede questo titolo:


Poi legge l'articolo e vede che:
Per l'Fmi, l'Italia resterà a lungo in una pesante recessione: dopo il -2,3% del Pil previsto per quest'anno, la nuova stima pronostica per il 2013 un ulteriore calo dello 0,7%, mentre tre mesi fa ipotizzavano una contrazione limitata allo 0,3 per cento; solo nell'ultimo trimestre del 2013 l'economia italiana potrà approssimarsi alla crescita zero, mentre la disoccupazione sarà salita all'11,1 per cento.
A questo punto sarebbe lecito domandarsi a cosa sia servito cambiare governo, se questi sono i risultati. Non si fa un governo per andare in recessione, e quando ciò accade lo si considera un fallimento del governo. Ah, mi si risponderà, "la credibilità, l'autorevolezza, lo spread, eravamo sull'orlo-del-baratro..." Ok, ok, basta che vi convinciate che senza Monti le cose sarebbero andate addirittura peggio che l'attuale governo vi sembra buono. Ma purtroppo ciò più che una convinzione è un assioma basato sul nulla. In pratica una superstizione.


A proposito di spread, lo stesso articolo dice che Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale,
rispondendo a una domanda sul perché i tassi sui bond italiani e spagnoli sono scesi, ha detto che è possibile che sia successo in anticipazione, da parte degli investitori, dell'accettazione" del programma OMT della banca centrale europea (che richiede la sottoposizione a drastiche misure delineate dall'esterno in cambio di un acquisto eventualmente illiminato di bond nazionali). "Se è così – ha concluso - non possiamo essere sicuri che questi tassi resteranno a livelli bassi".
Ditelo a Tito Boeri.

lunedì 1 ottobre 2012

Aspettando le elezioni tedesche del 2013

C'è chi dà la colpa alla Merkel, c'è poi chi dà la colpa agli elettori tedeschi e al fatto che fino alle prossime elezioni i politici si limiteranno ad accarezzare la pancia del loro elettorato. Wolfgang Munchau, oltre ad essere un ottimo analista di economia e finanza per il Financial Times, è tedesco. E dice:
I would counsel readers against falling into the trap of thinking that next year’s German elections will miraculously clear all the hurdles. All the various probable outcomes favour a continuation of the present policy.

martedì 25 settembre 2012

Chi getta fango e chi punta il ditino

Il nostro moralistello preferito torna in azione, commentando il fatto che Nicole Minetti abbia partecipato a una sfilata in costume:
E’ tempo che la signorina Minetti smetta di gettare fango sull’istituzione prestigiosa di cui fa parte, la Regione Lombardia, che al pari della Regione Lazio è uno dei capisaldi democratici di questo Paese
Cioè per Massimo Gramellini le regioni sarebbero "capisaldi democratici di questo Paese" nonché addirittura "istituzioni prestigiose".

Suvvia Gramellini, si calmi.

venerdì 31 agosto 2012

Come la penso sul semipresidenzialismo

Supponiamo che nel 2006, per soli venticinquemila voti, non sia stata l'Unione a vincere, ma che avesse prevalso la Casa delle Libertà. E che, come avvenne nella realtà, il governo, con soli due seggi di scarto al senato, sia durato solo due anni. Supponiamo quindi che nel 2008 sia stato il PD di Veltroni a vincere e a formare il governo. E che durante il suo mandato la maggioranza di centrosinistra abbia avuto da ridire sull'atteggiamento, da loro ritenuto parziale, del presidente della repubblica.

Sì, perché in questo scenario nel 2006 il centrodestra elegge a colpi di maggioranza Silvio Berlusconi alla presidenza della repubblica, il quale, dopo il successo dello schieramento avversario alle elezioni del 2008, inizia nei sui confronti una strategia di logoramento, quando non anche di ostruzionismo e boicottaggio.

In particolare la presidenza Berlusconi si caratterizza per:
  • la nomina di due giudici di militanza PDL alla corte costituzionale
  • la nomina di cinque senatori a vita di area PDL
  • l'assunzione della presidenza diretta del CSM e l'uso in chiave politica di essa
  • la tenuta di vari e ripetuti discorsi pubblici in cui critica l'inadeguatezza del governo in carica a fare fronte alla crisi economica
  • rinvio alle camere di varie leggi votate dalla maggioranza che fa capo al PD
  • rifiuto discrezionale in varie occasioni di concedere al governo l'uso del decreto legge
  • promozione nel 2011, dopo la scissione di vari esponenti moderati dal PD (Rutelli e altri), e lo sgretolamento della maggioranza, di un ribaltone, mediante un governo tecnico, che fa rientrare il centrodestra in maggioranza.
Ovvero: l'esempio mostra un caso di scuola in cui il Presidente della Repubblica tiene un comportamento di parte senza che di ciò ne risponda, né in sede giuridica, né in sede politica. Se passate dalla voluta esagerazione che ho illustrato alla realtà degli ultimi quattro presidenti che abbiamo avuto, vedrete che di volta in volta i loro comportamenti hanno scontentato qualcuno.

Il sistema (semi)presidenziale è una pessima idea, ma almeno rimedia al problema: fa del presidente della repubblica una figura politica, che risponde al popolo dei suoi atti.

La proposta del PDL è buona? Secondo un blogger, no. Non sono d'accordo. La costituzione attuale può vivere anche con in più un presidente della repubblica eletto dal popolo. Non occorre che la costituzione riparta i poteri fra materie di competenza del presidente e materie di competenza del parlamento. Per quelle basta il combinato disposto fra le attuali preleggi e l'art. 138 della Costituzione: la gerarchia delle fonti del diritto e il relativo riparto fra parlamento a maggioranza qualificata nonché procedura aggravata (norme costituzionali), parlamento (fonti primarie) e governo (fonti secondarie).

Il presidente eletto dal popolo non avrà poteri (salvo quelli che ha già oggi). Ma, se avrà una maggioranza parlamentare, sarà il capo del governo di fatto. Invece, se non l'avrà, farà il presidente "lame duck", una via di mezzo fra come lo fa ora Obama e come lo ha fatto Napolitano mentre Berlusconi era al governo. Solo che risponderà politicamente del suo operato: si giocherà insomma a carte scoperte. E la forza d'interdizione del presidente rispetto al capo del governo nonché della maggioranza parlamentare dipenderà dalla forza politica di ciascuno di loro in quel momento.

Se invece un presidente eletto dal popolo, nonché armato di maggioranza e governo fa paura, allora vuol dire che il concetto stesso di sistema maggioritario fa paura. È legittimo, ma si ammetta che non si vuole avere un governo con tutti i poteri necessari per guidare efficacemente il paese, ma solo un'appendice esecutiva di un regime assembleare a larghe intese.

Ovviamente vi è una condizione irrinunciabile affinché il semipresidenzialismo funzioni: che appunto la legge elettorale sia maggioritaria. Perché nulla sarebbe peggio dell'elezione di un presidente e la contestuale vanificazione di detta elezione (che è cosa necessariamente maggioritaria) mediante un parlamento proporzionale.

giovedì 30 agosto 2012

E poi dicono di non essere di sinistra

Quelli de Il Fatto dicono di non essere né di destra (come li accusa Ezio Mauro) né di sinistra. Dicono anzi che parlare di destra e sinistra non ha più senso.

Che la smettano di raccontare balle. A casa mia questa è una notizia di sinistra, confezionata a uso e consumo di lettori di sinistra, nella migliore tradizione della pubblicistica di sinistra italiana:


Ci sono l'alta finanza e le corporation che entrano a gamba tesa, ci sono i ricchi imprenditori e le aziende filo-repubblicane, i cattivi politici über-capitalisti repubblicani che hanno modificato le regole della buona democrazia grazie a una Corte Suprema connivente, e naturalmente gli sporchi miliardi della finanza di Wall Street.

In effetti manca solo lo sterco del diavolo.

martedì 28 agosto 2012

Dimmi quando quando quando...

...tu le tasse taglierai...
Mario Seminerio, il titolare del blog Phastidio, commenta su Il Tempo l'ennesimo Consiglio dei Ministri che ha deciso inasprimenti fiscali non compensati da tagli ad altre imposte, specie quelle sul lavoro e sulle famiglie.


In particolare, aggiunge Seminerio,
Un’incidenza della spesa per interessi su Pil passata dall’11 al 5 per cento è stata sprecata dal nostro paese in aumenti di spesa pubblica, in larga misura di tipo corrente, anziché in riduzione della pressione fiscale su famiglie ed imprese, contestuale ad una ristrutturazione dei meccanismi di spesa.

Il riferimento è al primo (e qui si spera l'ultimo) decennio di vita dell'Euro.

Leggiamo con attenzione le parole di Seminerio. In quel periodo gli aumenti di spesa pubblica sono stati in larga misura di tipo corrente. Traduzione in un linguaggio semplice: non è che i governi che si sono succeduti in quel decennio abbiano gettato denaro in più dalla finestra, ma si sono limitati a coprire le spese a legislazione corrente. Spese che, per modo di dire da sempre, erano in strutturale progressivo aumento.

Dunque Seminerio rimprovera a chi ha governato in questo decennio di non aver tagliato la spesa pubblica facendo riforme strutturali, oppure, alternativamente o allo stesso tempo, di non avere tagliato le tasse sfondando i parametri di Maastricht:
La Germania, per contro, è riuscita a liberarsi dei vincoli di Maastricht (nel 2003) (...) la Germania è riuscita a mantenere un ricco welfare e ad utilizzare in funzione anticiclica la spesa pubblica, contenendone comunque la dinamica di crescita al di sotto di quella del Pil.
Sì, avete letto bene. Però forse Seminerio non ricorda quale fosse all'epoca la priorità del paese secondo l'agenda politica con la quale di fatto ogni governo in carica si doveva confrontare giorno per giorno. Glielo ricordo io: era quella di rispettare i parametri di Maastricht, di tenere il deficit sotto il 3% del PIL e di non ricevere critiche da parte della Commissione UE (che allora era presiduta da Romano Prodi). Solo in subordine si poteva pensare alla crescita, alle tasse, etc.

Ma torniamo al punto precedente, il taglio della spesa pubblica. Nello stesso articolo Seminerio dice:
tagli in valore assoluto della spesa pubblica sono e restano recessivi, nel breve-medio termine
Dice anche:
Per poter tagliare le imposte serve un’economia che, come minimo, smetta di contrarsi
Aggiunge:
Se nostro obiettivo è quello di ridurre l’incidenza della spesa pubblica sul Pil, appare piuttosto proibitivo farcela nel momento in cui il Pil reale si contrae e quello nominale si trova (nella migliore delle ipotesi) a crescita zero
E conclude:
Senza crescita, nessuno sforzo riformatore potrà essere coronato da successo
Uhm, ricapitoliamo:
  1. Occorre la crescita del PIL. Giusto.
  2. Ma tagliare la spesa pubblica crea nel breve-medio termine recessione. Ne deduco allora che l'Italia non possa farlo, a meno di contraddire il punto 1
  3. Si taglino le tasse allora. Giusto. Però Seminerio giustamente dice che non lo si può fare durante un periodo di recessione.
Credo che il circolo vizioso sia evidente a tutti. Giusto per rinfrescare la memoria ai più, questo è il grafico della crescita del PIL dal 2001 al 2010:



Il grafico mostra chiaramente che di occasioni non recessive ove poter tagliare spea e tasse ce ne sono state ben poche. Infatti la legislatura 2001-2006 è stata attraversata dalla recessione internazionale causata dalla bolla del NASDAQ (quella che in Italia è invece conosciuta come la recessione causata dall'esplosione delle torri gemelle).

Diceva Seminerio nel 2004:
Restano in piedi tutte le perplessità per la tempistica della manovra sul taglio delle tasse. Ammesso e non concesso che una manovra pari allo 0.5 per cento del prodotto interno lordo possa avere tutte queste virtù taumaturgiche sulla domanda interna; ammesso e non concesso che il blocco del turnover nella pubblica amministrazione possa essere effettivamente applicato, la manovra avrebbe avuto ben altra portata se fosse stata varata all’inizio della legislatura, e non ora, a 5 mesi dalle elezioni regionali e a meno di 18 mesi dalle elezioni politiche. Ma tant’è.
Peccato che nel 2001, a inizio legislatura, si vedesse già arrivare la recessione dagli USA (il crollo della borsa era iniziato a Marzo 2000, i primi licenziamenti nelle corporations a settembre di quell'anno), cosa che (assieme ai venti dinstabilità che si profilavano a seguito dei fatti dell'11 Settembre) semmai consigliava prudenza. Così come consigliava prudenza il buco ereditato dal governo precedente e appena trovato da quello in carica. E prudenza fu.

Invece  il PIL italiano ebbe invece un accenno di timida ripresa proprio nel 2004. Però, sempre per rinfrescare la memoria dei più, quest'articolo ricorda chi a Novembre 2004 remò contro il taglio dell'IRPEF (il grassetto è mio):
Dopo la clamorosa bocciatura di ieri, dovuta anche all'assenza di buona parte dei parlamentari dell'Udc, l'esecutivo, riunitosi ieri sera con urgenza, ha comunicato le linee d'intesa raggiunte in merito alla Riforma Fiscale. A sorpresa, il taglio dell'Irpef è stato clamorosamente rinviato al 2006, mentre per il 2005 il Governo punta ad effettuare tagli all'Irap.
Dopo di che il biennio 2006-2007 fu congiunturalmente più favorevole ad un taglio della spesa pubblica e delle tasse. Ma stranamente nessuno rimprovera a Prodi di non averlo fatto. Così come nessuno, neanche Seminerio, rimprovera all'attuale PD di avere sprecato quello che fu congiunturalmente il periodo migliore: la legislatura 1996-2001.



Anzi in realtà Seminerio, prima di farsi prendere dalla frenesia anti-caimano degli ultimi anni, lo aveva scritto che in quella legislatura il centrosinistra non perseguì
alcuna riforma strutturale dei meccanismi di spesa pubblica
Seminerio con quest'articolo si conferma un ottimo analista finanziario, un discreto economista e un pessimo commentatore politico.

lunedì 27 agosto 2012

Un modo per salvare l'Euro

Fateci caso: essendo appurato che la crisi della moneta unica deriva dalle imbalances all'interno dell'eurozona, imbalances determinate da perdite progressive di produttività in certi paesi a favore di altri, ma che non possono più determinare svalutazioni nei primi, ed essendoci un vecchio studio (ma suppongo ce ne saranno anche altri) della banca Nomura su quanto si svaluterebbero (o rivaluterebbero) le nuove monete nazionali in caso di smantellamento dell'Euro, se Maometto non va alla montagna, si potrebbe far venire la montagna verso Maometto.



Se la nuova Lira si svalutasse del 25% nei confronti del nuovo Marco, un meccanismo che mettesse un dazio di fatto di uguale misura sulle merci importate e un sussidio di uguale misura verso le merci italiane esportate rispettivamente da e verso la Germania avrebbe lo stesso effetto di una svalutazione. Ma permetterebbe di mantenere l'Euro. Potrebbe altresì essere un'imposta positiva o negativa rispettivamente sull'entrata e uscita dei capitali da un paese. E potrebbe avere un carattere transitorio e un'aliquota variabile nel tempo, fintanto che i paesi che hanno perso produttività la recuperino (o al contrario che ne perdano ancora di più...).

Lo so, è assurdo, è paradossale, probabilmente impraticabile, e per di più violerebbe uno dei principi base della comunità europea, la libertà di circolazione delle merci (o dei capitali). E oltre a ciò si presterebbe a tentativi di aggirarlo. Ma se l'euro è un dogma temo che verrà fatto di tutto pur di salvarlo. Magari anche spostare le montagne.

venerdì 24 agosto 2012

Incassa e porta a casa

Le contraddizioni stanno facendo "esplodere" un regolamento di conti nel fronte antiberlusconiano, con una parte che accusa l'altra di essere destra e l'altra che accusa la prima di incoerenza.

Sono i frutti di quanto seminato negli ultimi lustri, se non decenni.

Porcellum version

Dice Roberto Calderoli:
Guardi che il sistema attuale ha tanti padri inconfessabili. Nel 2005, tanto per cominciare, il ministro era Pisanu. Poi l’Udc si impuntò per avere un sistema proporzionale, Fini impose le liste bloccate e Berlusconi volle il premio di maggioranza. Infine, i partiti minori strapparono delle clausole di salvaguardia dagli sbarramenti e la sinistra, dal canto suo, non si sognò mai di cambiarla.
Si legga anche questo passo tratto da un articolo di Maurizio Griffo:
I sistemi elettorali selettivi sono molti e numerosi. Lo scopo cui tendono però è sempre lo stesso, creare una maggioranza parlamentare anche se il partito vincitore ha raccolto solo una maggioranza relativa.

In Italia per oltre decennio questo traguardo è stato avvicinato con una legge parzialmente maggioritaria basata sul collegio uninominale. Tuttavia un simile sistema era poco amato dal ceto politico che se le era visto imporre a colpi di referendum. Nel comune sentire della classe politica il collegio uninominale è giudicato troppo rischioso, eccessivamente aperto ai venti dell'opinione, poco prevedibile a meno di non disporre di un collegio sicuro. Ma anche i collegi "monopartitici" vanno diminuendo in presenza di una crescente volatilità dell'elettorato.

Così, appena si è potuto, lo si è liquidato. L'occasione è giunta alla fine fine della XIV legislatura quando, per dare il proprio assenso alla riforma costituzionale messa a punto dal governo di centro destra, l'Udc (il partito portabandiera del centrismo neo trasformista) chiese una pesante libbra di carne: una modifica della legge elettorale in senso proporzionale. Nel giro di pochi giorni, e senza che l'opposizione alzasse le barricate, il collegio uninominale fu abbandonato.
L'attuale legge elettorale fu voluta e imposta dall'UDC. Essendo caduta la ragione di tale imposizione, la mancata riforma costituzionale del 2006, essendo addirittura venuta meno l'alleanza con l'UDC (a meno che qualcun altro non voglia allearcisi...) nulla vieta che PDL e PD si mettano d'accordo per una legge maggioritaria bipartitica. Dice infatti Calderoli:
Di sicuro in quei due partiti c’è chi ragiona in termini di bipartitismo e non di bipolarismo.
Una modesta proposta: si abolisca il Senato e si riduca la durata delle legislature a tre anni. Ci risparmieremmo tanti casini.

giovedì 23 agosto 2012

La costituzione più bella del mondo

La nostra costituzione fu promulgata nel 1948. Da allora è stata modificata ben sedici volte. Ed è sin dagli anni ottanta che si parla di fare riforme istituzionali. Per modificarla sono state fatte tre commissioni bicamerali e un tentativo di riforma parlamentare poi rigettato per referendum.

Per fare un paragone, la costituzione tedesca è del 1949, non ha avuto modifiche rilevanti salvo l'introduzione del pareggio in bilancio nel 2009, e le riforme istituzionali non sono all'ordine del giorno del dibattito politico di quel paese.

La verità sotto i nostri occhi è che la nostra costituzione è uno schifo. Altro che Partito della Costituzione...

mercoledì 22 agosto 2012

Le perfide agenzie di rating

Quelle che manipolano lo spread, quelle che vengono indagate per turbativa del mercato, quelle che ci vorrebbe un'agenzia europea per romperne il monopolio yankee, monopolio che secondo questa pubblicistica viene usato per speculare contro le nostre economie, ecco, oggi invece che arriva un giudizio positivo evidentemente le agenzie sono diventate buone e i maggiori giornali se ne compiacciono:




Paperoni capricciosi e osceni

Una new entry nel Coglionistan: Angela Vitaliano, giornalista de Il Fatto Quotidiano, qui sotto ritratta nel fotomontaggio che campeggia sul suo blog.


La Vitaliano nella sua rubrica, parlando di Mitt Romney, ha evocato la
quantità oscena di denaro fatta arrivare nelle sue casse dai Paperoni americani, di andare ad occupare la Casa Bianca: abitazione modesta per il suo tenore di vita ma uno “sfizio” che il capriccioso miliardario vuole togliersi ad ogni costo
Il denaro in quantità oscene, gli orribili Paperoni e il destrorso Romney che vuole diventare presidente per capriccio. Se mai qualcuno avesse un dubbio su da che parte la Vitaliano è schierata...

lunedì 20 agosto 2012

Conseguenze del caso Ruby

Popolo,
Quello avete preteso, quello lorsignori vi danno:


Dopotutto siamo in democrazia, e il popolo, ancorché bue, è sovrano.

venerdì 17 agosto 2012

Non va bene

Allora ricapitoliamo: se i politici stanno troppe legislature in parlamento non va bene, se invece ne fanno poche non va bene uguale, perché quelli che non vengono rieletti percepiranno subito una pensione. Poi si dice che i parlamentari guadagnano troppo. Ma parte dei guadagni è rapportata alla presenza in parlamento: più partecipano a sedute più ci costano, e non va bene. Però se in parlamento ci vanno di rado non va bene, e anzi viene stigmatizzato il fenomeno dell'assenteismo. Fenomeno che viene ancor più stigmatizzato quando le camere d'estate non si riuniscono. Se però si riuniscono e dibattono, votano, ed emendano, allora la gente si arrabbia per le lungaggini dell'iter legislativo.
Quindi per l'utente medio che fa click su mi piace e commenta sui siti dei giornali che stanno dalla parte dei cittadini l'identikit del politico perfetto è uno che va in parlamento idealmente gratia artis, ci sta non più di due legislature, ha un'indennità la più bassa possibile, nessuna pensione, frequenta assiduamente le aule parlamentari e interrompe la sua precedente attività professionale. Resta da capire però come questa persona possa dopo dieci anni in cui ha perso la sua professionalità e/o i clienti tornare a fare quel che faceva prima e soprattutto che livello medio di persone (e con quali incoffessabili motivazioni) sarebbero disposte a distruggere la propria carriera per mettersi al servizio della collettività a queste condizioni faustiane. Invece il livello mentale medio diffuso dei loro sedicenti datori di lavoro è noto e dà il nome al presente blog.

martedì 14 agosto 2012

Angela's version

Tobias Piller, corrispondente in Italia del Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha recentemente scritto questo breve articolo per Il Fatto Quotidiano:



Articolo che il titolare di questo blog condivide nella sua interezza, che consiglia di leggere, e che si permette di riportare nella sua integralità:

Aiutatevi da soli senza dare la colpa a noi
Quando è stato deciso di creare la moneta unica, si è optato da un lato per il principio di stabilità e dall'altro per quello della responsabilità. Non si può pretendere dalla Germania di cambiare le regole decise al tempo di Maastricht. È il momento di essere responsabili. La Germania non si comporta da ragioniere, ma si muove con delle ragioni. Se si chiede alla Bce di comprare titoli si vuole una moneta debole, un euro tipo lira. Questo potrebbe essere un punto di rottura per i tedeschi, perché si tratterebbe sia di una moneta non voluta sia della rottura dei vecchi patti. Mentre c'è una crisi di fiducia verso il debito degli Stati si punta a fare nuovi debiti. Ma non si possono cacciare i vecchi debiti facendone di nuovi, sarebbe solo un castello di carta.
 In realtà, per l'Italia l'augurio è che possa crescere. Le premesse ci sono, il turismo, l'industria, mentre la Grecia deve creare nuovi modelli e la Spagna rimediare al crollo dell'immobiliare. L'Italia non deve inventarsi nulla e se dovesse crescere del 2 per cento di spread non si parlerebbe più.

Ma crescita vuol dire aumentare la quota di mercato sul mercato mondiale, riprendersi produzioni che stanno andando via e vendere meglio i prodotti che ha. Semplificando, quando Volkswagen fa una nuova fabbrica nel mondo ci sono più posti di lavoro anche in Germania. In Italia è il contrario. Dovete riuscire a tenervi la Fiat perché se va via nessun altro produttore verrà in Italia. Bisogna aiutare le piccole imprese a fondersi e fare riforme strutturali: una seconda riforma del mercato del lavoro o vere liberalizzazioni. Riforme strutturali per riposizionare il prodotto-Italia.

Non credo che la Germania debba essere un modello, ma ognuno deve stare in piedi da solo e non gridare "aiuto". Non può essere la Germania a pagare il conto. Andate avanti e fate quello che avete promesso.

Oggi va tanto di moda dare addosso alla Germania e alla Merkel (come se fosse un'impuntatura personale...), perché ci impongono l'austerità. Nessuno ci impone niente, nessuno ci ha obbligato a entrare nell'Euro e nessuno ci obbliga a restarci. Solo che non si può pretendere che i Tedeschi firmino una fidejussione a garanzia del nostro debito.

lunedì 13 agosto 2012

Il superficialismo smemorato

Cronache dal Coglionistan torna ad occuparsi de Il Post. Motivo: Berlusconi ha dato un'intervista a Libération, e Il Post, estrapolandone una frase, pensa di fare ironia:


Solo che la storia del decreto è vera. Ne avevo parlato qui, ma quello che è più grave è che ne aveva scritto Il Post stesso:


Nel sottotitolo si legge appunto:
è fallita l'ipotesi di un decreto
Infatti quel giorno tutti si aspettavano un decreto legge che però poi non fu fatto. La cronaca de Il Post era iniziata con queste frasi (il giallo l'ho messo io):
Oggi il premier ha trascorso la giornata tra palazzo Chigi e via del Plebiscito per studiare il decreto legge con le misure annunciate a Bruxelles nella sua lettera d’intenti contro la crisi.

Oggi, anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha convocato i principali leader per verificare la coesione nazionale in vista di misure che il Quirinale, il primo novembre, aveva definito «improrogabili». Le possibilità sono due: inserire le norme nel ddl stabilità, all’esame del Senato, attraverso un maxiemendamento oppure un decreto.
Durante la cronaca delle indiscrezioni della giornata Il Post scriveva:
22.41 - il Consiglio dei ministri avrebbe approvato un emendamento alla legge di stabilità. Solo in un secondo tempo si procederà con un decreto e un disegno di legge con le misure contro la crisi

22.50 - Dice Mentana: “il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, intercettato, ha affermato che quando si calano le braghe bisogna stare attenti a coprirsi le spalle perché svolazzano i temuti uccelli paduli”. Calderoli esprimerebbe il suo totale disappunto per la mancata approvazione tramite decreto
Infine Il Post concludeva l'articolo così:
In Italia è fallita, per ora, l’ipotesi di un decreto: il Consiglio dei ministri ha infatti approvato un maxiemendamento alla legge di stabilità con le norme anti crisi. Solo in un secondo tempo si procederà con un decreto e un disegno di legge. A influenzare la decisione sarebbe stato Giorgio Napolitano: nel provvedimento era previsto l’inserimento di misure che non avevano a che fare con l’emergenza economica. Anche Giulio Tremonti aveva espresso obiezioni sul decreto dichiarandosi invece favorevole alla via parlamentare.
Dunque oltre che superficiali sono pure smemorati, proprio come i loro lettori sui quali però non vale nemmeno la pena di scrivere un articolo tanto sono una causa persa.

venerdì 10 agosto 2012

A che punto siamo con la "Papi's tax"

La banca d'affari americana Goldman Sachs fra Marzo e Giugno si è sbarazzata di 2.3 miliardi di dollari di titoli italiani, pari al 92% di ciò che deteneva.


In pratica la banca ha preferito svendere in tutta fretta quasi tutti i BTP che deteneva piuttosto che aspettarne la scadenza e riceverne il pieno valore oltre alle cedole annuali. Evidentemente, a torto o a ragione che sia, reputano che l'attuale o un futuro governo possa fare default.

Quando si ciancia (e si cianciava) di credibilità...

mercoledì 8 agosto 2012

Lezione di educazione civica

È estate e il popolo del coglionistan ringhia contro i politici che vanno in ferie. E poi contro le aule semivuote e i parlamentari "assenteisti". Il blog nonunacosaseria fa notare che tutti i parlamenti dei maggiori paesi europei non si riuniscono d'estate. Verrebbe facilmente da far notare che a loro cambierebbe nulla se le leggi che li governano sono state approvate da aule piene o semivuote. Ma in questa diatriba c'è dell'altro.


Cominciamo col dire che si ha assenteismo quando si è sovente assenti ingiustificati da un obbligo di presenza. In pratica dal posto di lavoro, che è l'esempio tipico nel quale può verificarsi l'assenteismo.

Ma quello del parlamentare non è un lavoro e men che mai vi è un obbligo di presenza.
E né vi è un obbligo di produttività (fare interrogazioni, proposte di leggi o di partecipare a dibattiti e votazioni).

Il parlamento non è un votificio. Anzi, il parlamento può anche decidere di non votare alcunché e di non riunirsi mai (salvo la residuale prescrizione costituzionale a tutela delle sue prerogative: "Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre."). Pertanto non si può parlare di assenteismo

Dovreste essere orgogliosi di essere cittadini di un paese che onora la democrazia eleggendo parlamentari senza vincolo di mandato (e di presenza) e un parlamento che si riunisce e vota e si popola solo se lo ritiene utile. E che dà loro ricche indennità a tutela della loro indipendenza economica. Parlare di assenteismo è invece indice della vostra frustrazione, del desiderio che è in voi di mettere alla gogna i potenti, dell'invidia che provate verso chi ha raggiunto una posizione di benessere. Ed è indice del fatto che molti non hanno ben chiara la differenza fra un libero parlamento e "un'assemblea bulgara".

No cari, i politici non sono i vostri dipendenti: sono i vostri capi, sono gli eletti che hanno il potere e decidono per voi. Così come Marchionne non è il "dipendente" né degli azionisti né degli impiegati FIAT, i quali sono loro a doversi giustificare verso di lui delle assenze dal posto di lavoro e non viceversa.

Perché se i politici sono eletti in parlamento lo sono perché voi vi riconoscete in loro e perché loro sono (e li ritenete) migliori di voi e quindi capaci di farsi eleggere e degni di rappresentarvi. A cominciare dall'onorevole Scilipoti, che guarda caso è stato eletto in un partito il cui elettorato è particolarmente sensibile al tema della "casta".

Mi auguro che questo ripassino di educazione civica giovi a qualcuno. Non fosse altro che per il fatto che chi indulge in questa retorica anticasta non si rende conto che si sta comportando come un fascista: mai nel dopoguerra ci saremmo sognati di mancare di rispetto al parlamento e ai parlamentari.

La retorica anti casta è oramai divenuta un pericoloso nichilismo che sta minando le basi stesse della nostra democrazia rappresentativa. Occorre una riflessione seria. In questa sede mi permetto di proporre due rimedi semiseri, ma non troppo. Il primo è quello d'impedire l'accesso in parlamento a fotografi e telecamere: se il popolino non vede le foto dell'aula semivuota, non s'incazza e resta a cuccia.

Oppure si potrebbe ristrutturare l'aula sul modello della Camera dei Comuni britannica:



Pochi seggi, meno dei deputati, che sono ben 650; così non c'è neanche bisogno di tenere lontane le telecamere: i pochi deputati in aula saranno sufficienti a riempirla, e il popolo del coglionistan sarà felice e contento.

lunedì 30 luglio 2012

Grillini di destra

Il sito web "Fermare il declino" è la (pre) discesa in campo di coloro che hanno individuato in Berlusconi e nel PDL la causa della mancata rivoluzione liberale: ci sono Mario Baldassarri e Benedetto della Vedova (FLI), ci sono Oscar Giannino e Michele Boldrin (qui in TV magnificava la Spagna, ma era prima della crisi di oggi) che hanno spinto per il governo Monti e oggi se ne dicono delusi, ci sono quelli di Libertiamo e dell'Istituto Bruno Leoni, ci sono Andrea Romano e Irene Tinagli di ItaliaFutura.

Hanno fatto dieci proposte alle quali ho dato una scorsa veloce. Dieci wishful thinking che però peccano di un vizio alla base: se tutto ciò non è stato fatto occorre che si facciano una ragione del fatto che sono obiettivi estremamente difficili da raggiungere in un paese in crisi, arroccato in corporazioni, con alta spesa pubblica e numerosi clientes di essa (spesso ideologizzati, cosa non da poco) e per di più in via di invecchiamento demografico.

Buona fortuna al neonato movimento e a quel che ne verrà. Ne avrà bisogno. Un appunto però: fare un programma di wishful thinking è cosa facile. Lo fa già Grillo coi suoi wishful thinking di sinistra. Ora lo fanno anche i liberali. Solo che la realtà è un attimino più complessa.

Prendiamo ad esempio il punto 4 del loro manifesto:
Privatizzare la RAI, abolire canone e tetto pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su cui il settore si regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.
Privatizzare la RAI: a chi? Chi è il pazzo disposto a sobbarcarsi l'onere della gestione di un carrozzone di stato? Facciamo come Alitalia? Bad and good company? Beninteso la bad company resterà a carico di Pantalone. Mediaset ha circa la metà dei dipendenti della RAI: la ristrutturazione dell'ex TV pubblica (cinquemila posti di lavoro in meno) avrà i suoi costi sociali. E la caccia alla pubblicità (vedasi "abolizione del tetto pubblicitario) avrà conseguenze negative sui bilanci delle altre emittenti private e forse sui posti di lavoro.

Abolire il canone e il tetto pubblicitario. Quello è sì fattibile: la nuova RAI privata diventerà una TV commerciale e vivrà di pubblicità. Solo che l'ultima frase vorrebbe "affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti". E qui sorge un primo problema: se vogliamo che una TV commerciale faccia servizio pubblico occorre che la remunerazione sia maggiore che fare programmi commerciali. E allora lo stato dovrà indire dei bandi in cui l'aggiudicatario verrà ben remunerato. Già, ma con quali soldi? Il canone sarà abolito, quindi quel centinaio di euro l'anno che ogni famiglia paga dovrà essere sostituito da qualche altro tributo o aumento di quelli esistenti. Insomma: il canone esce dalla porta, ma rientra dalla finestra. Ma questo sul manifesto dei liberali non ce lo trovate.

giovedì 26 luglio 2012

La "balla" che l'Euro avrebbe fatto calare i tassi d'interesse

Chi difende la necessità dell'Euro spesso usa l'argomento del tasso d'interesse: che era alto al tempo della Lira e che l'adesione alla moneta unica ha permesso di abbassare a livelli tedeschi, o quasi. Ho messo nel titolo la parola balla fra virgolette perché la questione è più complessa: nell'affermazione c'è del vero, ma c'è anche del falso. Da un lato è vero che il passare da una valuta storicamente debole, soggetta a un continuo deprezzamento, inflazione e alti tassi d'interesse, ad una forte ha tolto all'Italia gli appena citati effetti derivanti dall'avere una valuta debole.

Tuttavia il tasso d'interesse in Italia stava già calando ben prima che si sapesse che ci sarebbe stato l'Unione Monetaria Europea e che l'Italia ne avrebbe fatto parte. Nella figura qui sotto si vede l'evoluzione del tasso d'interesse: è una linea in calo dal 1983-84.



Si obietterà che il calo non è continuo. Facciamo un passo indietro e riassumiamo in poche parole la storia monetaria recente dell'Italia. Che aveva negli anni settanta la Banca d'Italia che finanziava gli enormi deficit di bilancio dello stato comprandone i titoli e causando inflazione e svalutazione. Nel 1979 l'Italia aderisce al Sistema Monetario Europeo, che comporta che la Lira non oscilli (ovvero non si svaluti) più di tanto rispetto alle altre valute che ne facevano parte. Conseguenza: la Banca d'Italia (aiutata dalle altre banche centrali dell'area SME) non può più stampare moneta a piacimento per coprire i buchi di bilancio dei governi, dato che ciò provocherebbe inflazione, che a sua volta causerebbe la svalutazione della Lira. Deve invece attuare una politica più rigorosa. Detto cambio viene ufficializzato nel 1981 da Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro.

Poco dopo cominciano a vedersi gli effetti di questa nuova politica monetaria e il tasso d'interesse comincia a scendere. Riguardo allo SME va detto che all'inizio all'Italia fu concessa una banda di oscillazione del 6%. Poi progressivamente negli anni ottanta l'Italia adattò la propria politica monetaria per poter difendere una banda del solo 2.25%. La banda stretta fu ufficializzata all'inizio del 1990. Nel riquadro in arancione si vede infatti come il dover difendere una parità più stretta abbia causato un temporaneo rialzo dei tassi d'interesse. La banda stretta terminò nel 1992, allorché l'Italia ne concordò una amplissima del 15%.

Per cui, se togliamo la parentesi della banda stretta, vediamo come la discesa del tasso d'interesse è una linea continua dal 1983-84 fino al 1999, anno in cui inizia la parità pre-euro a 990 Lire per un Marco.

Eppure il trattato di Maastricht è del 1992, la fissazione del tasso di cambio finale della Lira è del novembre 1996, la conferma ufficiosa della partecipazione italiana all'Unione Monetaria è dei due anni seguenti: tutti fatti successivi all'inizio del calo dei tassi, che avviene all'incirca dieci anni prima per i motivi sopra esposti.

mercoledì 25 luglio 2012

"Il punto di non ritorno"?

“Nel ’93 ebbi un incontro con Kohl. Un vertice diretto, senza impedimenti protocollari, tra due uomini che avevano conosciuto la tragedia delle guerre. Mi chiese cosa pensassi dell’Europa e della moneta unica. Non risposi da ex banchiere centrale. Gli dissi semplicemente che l’euro avrebbe creato il punto di non ritorno, avrebbe avviato la stagione dell’Europa veramente unita, senza più conflitti, senza più lutti. Se non lo facciamo noi, aggiunsi, rischiamo un ritorno indietro, un contraccolpo della storia che sarebbe terribile, un nuovo alibi per il rinascere dei nazionalismi, di quegli spettri degli anni ’30 che né io né lei vogliamo riportare in vita. Dopo questo colloquio uscì di scena definitivamente l’idea di rinviare l’adesione ai parametri di Maastricht. Nessun rinvio; l’euro non poteva aspettare (Carlo Azeglio Ciampi, Non è il paese che sognavo, Il Saggiatore, 2010, p.112)
Poi viene da chiedersi alla luce delle attuali tensioni fra Germania e stati del "Club Med" se a fare l'Euro invece si sia proprio ricreato quei conflitti che invece nei quarant'anni precedenti non si erano verificati.


Sarà la storia a dire se questo punto di non ritorno segnerà la nascita di una federazione europea o invece l'inizio di un progressivo sfaldamento.

Sarà la storia a dire se personaggi come Ciampi sono stati degli statisti lungimiranti o dei pasticcioni dilettanti, pur in buona fede.

martedì 24 luglio 2012

Un esempio di Casta


 
Hasta la victoria, siempre

Ma secondo voi chi lo paga l'Erasmus in Guatemala a Ingroia?

venerdì 20 luglio 2012

Un eccellente articolo

Scritto da Franco Bechis, vicedirettore di Libero, per il sito Il Sussidiario. Da leggere nella sua interezza, ne cito i passi per me più significativi, che coincidono con la mia visione delle cose politiche. Solo che Bechis, a differenza del sottoscritto, sa scrivere con stile.

Sulla legge elettorale e sulla balla della più grande maggioranza della storia repubblicana:
Abbiamo una legge elettorale che offre un premio di maggioranza sempre identico a chi vince di un voto come a chi vince per un milione di voti. Non c'e mai stata "la maggioranza più vasta della storia", citata da Vittadini a proposito del 2008: i rapporti di forza alla Camera erano all’epoca identici a quelli che nel 2006 ebbe Romano Prodi, e proprio alla Camera Berlusconi a novembre ha perso la sua maggioranza.
 Su Berlusconi e il suo bilancio dopo tutti questi anni in politica:
Credo che a molti altri non piaccia il ritorno di Berlusconi: troppi errori compiuti, troppe delusioni anche cocenti, è vero. Credo che il Cavaliere fin dall’inizio non abbia usato grandi finzioni: scelse la politica per difendere la libertà sua e delle sue aziende. Talvolta è coincisa con la libertà degli italiani, per lungo periodo non è stato così. Ha colpe evidenti.
Sul PDL, Alfano e Fini:
Per nove mesi Berlusconi è quasi scomparso. In nove mesi nasce un bambino. Non ho visto nascere altre leadership politiche: la realtà è questa. Forse sarebbe stato possibile, ma non è avvenuto: come scriveva Manzoni per don Abbondio, se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare. (...) Quando dissenso c'è stato nel centrodestra, è accaduto per questioni di potere personale, non su grandi temi. Non sono circolate idee e senza idee non nasce una classe dirigente.
Sull'attuale situazione politica e quello che ci aspetta alle prossime elezioni:
Possiamo dire che ci fa tutto schifo, ma la realtà della politica è questa: il prossimo anno si voterà per Bersani o Berlusconi (magari non si candida lui, ma sarà in campo) a palazzo Chigi. Bisognerà scegliere tra il modello di uno e quello dell'altro. Non c'è più tempo per altre ipotesi. La credibilità dell'uno o quella dell'altro. Gli errori di uno o quelli dell'altro. La realtà è questa, e di fronte a questa realtà bisogna porsi.
Sul futuro che ci attende dopo le elezioni:
La storia d'Italia racconta un Paese che è sempre stato bipolare per due terzi (Dc-Pci, Berlusconi-Progressisti) e non vedo una particolare evoluzione in questo. Non abbiamo mai avuto un partito in grado di vincere le elezioni, e maggioritario o proporzionale cambia poco: sono determinanti piccole formazioni politiche che hanno sempre bloccato e condizionato l' attività dei governi. Non è gran democrazia, ma finora l'antidoto non è stato trovato. L'unica soluzione è fare circolare idee: ce ne sono tante in giro, ed è sempre stata la forza di questo Paese. Le idee prima o poi trovano le gambe su cui camminare. 

lunedì 9 luglio 2012

Che cos'è l'Euro

Il dibattito Euro SÌ - Euro NO è inquinato da da una coltre di fumo: ovvero che taluni che ne dibattono non hanno ben chiaro che cosa l'Euro sia.



Occorre dunque semplificare il concetto, andando al nocciolo della questione, pur tralasciando altri fatti importanti. Vado brutalmente al sodo:
L'Euro è un peg della Lira a quota 990 sul Marco.
È una mera parità monetaria, un peg (un "aggancio", il termine tecnico inglese per descrivere ciò). È un cambio fisso. Reso tale da un meccanismo che impedisce alle forze del mercato di svalutare o rivalutare la Lira (1).

Dunque da un lato c'è il nucleo dell'Euro (il peg), dall'altro il meccanismo di supporto, che nel caso specifico è un insieme di cose: la Banca Centrale Europea, l'Eurosistema, le banconote uniche, il trattato che istituisce tutto ciò e la volontà dell'Italia di mantenere non solo il peg, ma anche l'insieme dei trattati europei di cui il peg è parte integrante.

Metaforicamente parlando, se un semplice peg è come una porta chiusa a chiave, l'Euro è una porta chiusa a doppia, tripla o quadrupla mandata. E in più rivestita di un pannello in cartongesso che la copre. Ma pur sempre di porta chiusa a chiave si tratta.

È importante tenere presente questa definizione per quando tornerò sull'argomento. 

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(1) Ovviamente queste definizioni vanno moltiplicate per 17, che è attualmente il numero dei paesi che fanno parte dell'Euro.

giovedì 28 giugno 2012

No, la coerenza non è di questo mondo - 2

Continua lo scambio di parole forti fra Mario Seminerio e Antonio Martino. La risposta di Seminerio è anche stavolta un utile spunto per una considerazione:
per Lei il ritorno alla lira non servirebbe per attuare svalutazioni competitive, come infatti  mai è accaduto nella storia del Paese quale valvola di sfogo alla mancanza di iniziative riformistiche. Anzi, ci informano che Lei ha pronto un piano per agganciare irrevocabilmente la lira all’euro, e per aumentare credibilità avrebbe pure deciso un virile currency board, anziché delle effeminate bande di oscillazione
A leggere questa frase pare che l'alternativa sia solo fra currency board e svalutazioni competitive. Forse, per restare in Europa, Gran Bretagna, Svezia, Polonia e Rep. Ceca hanno l'uno o l'altra? No: le loro valute hanno il valore che gli dà il mercato, senza che i rispettivi governi le abbiano ancorate all'Euro o pratichino verso detta zona delle svalutazioni pilotate per rilanciare le esportazioni.

La frase citata contiene pure uno strafalcione logico: che senso avrebbe abbandonare l'Euro per agganciarvi la Lira mediante un currency board? Fare ciò equivarrebbe a restare nell'Euro! L'ipotesi di uscita dall'Euro, giusta o sbagliata che sia, servirebbe per riguadagnare la politica monetaria e il cambio di mercato, cose incompatibili con un currency board. Seminerio è certamente bravo, ma mi pare che nella foga della polemica si sia lasciato prendere la mano.

Purtroppo il dibattito sull'Euro è inquinato da questi toni apocalittici: Euro oppure impoverimento, Euro oppure svalutazioni competitive, Euro oppure fine dell'UE e via dicendo. Ma ci ritornerò sopra.


PS: Caro Seminerio, eviti di abbassarsi a fare il grillino mostrando la foto di Martino che gioca col tablet mentre è in aula. Non le fa onore e non è cosa di cui i deputati si debbano vergognare; non sono i suoi dipendenti (e anche se lo fossero poco cambierebbe), e durante le lunghe giornate in aula fanno quello che gli pare, come tutti: c'è chi gioca, chi legge il giornale, chi scrive sui blog e financo chi twitta. Ed è giusto che sia così.

mercoledì 27 giugno 2012

No, la coerenza non è di questo mondo

Prendo spunto da uno scambio di parole forti fra Mario Seminerio e Antonio Martino per qualche considerazione. Innanzi tutto vediamo alcuni punti dubbi del ragionamento di Seminerio. Che scrive:
La verità è che la Bce è una struttura federale, nel modo e con i limiti in cui può esserlo una tecnostruttura in questa Europa altamente imperfetta.
Che sia una struttura federale non è cosa condivisibile. Tant'è vero che i posti che contano vanno a persone dei paesi che contano. E quando ciò non avviene (vedasi il caso delle non dimissioni di Bini Smaghi), la Francia si risente, come se quel posto nel consiglio dovesse andare di diritto a un francese. È più corretto dire che la BCE è una struttura intergovernativa. E non è una mera questione terminologica. Dice poi Seminerio:
Si tratta di nomine che hanno una legittimazione democratica, tipica di tutte le procedure di nomina di organismi tecnocratici.
Ma poi aggiunge:
Se e quando la Ue diverrà una federazione o confederazione, è auspicabile che queste procedure vengano riviste in senso di attribuire maggior rilevanza ad un Parlamento europeo reso più operativo e meno declamatorio
Il che significa che il parlamento europeo, l'unico organo europeo direttamente eletto dal popolo, non ha oggi rilevanza. Ergo: la legittimazione democratica non c'è proprio perché l'UE non è né una federazione né una confederazione. Aggiunge Seminerio:
La verità è che la strada per cui battersi è quella di un percorso federale verso maggiore integrazione politica in Europa, tale da poter conferire più democraticità al processo decisionale
Ergo, ancora una volta: il processo, dice Seminerio, non è democratico, ma sarebbe bene che lo fosse. Dunque un'altra sua obiezione a Martino:
Martino dovrebbe spiegarci se vede questo vulnus democratico europeo come meno nocivo di una banca centrale assoggettata al “controllo democratico” usata per finanziare il deficit anche in condizioni ordinarie.
Delle due l'una: o Seminerio preferisce una BCE tecnocratica che risponda il meno possibile agli input democratici, oppure preferisce "conferire più democraticità al processo decisionale". Oppure (probabilmente) ha in testa qualcos'altro che gli è rimasto nella penna. Vedremo se e quando replicherà a Martino.

Ma la parte più interessante è l'ultimo capoverso, quando critica Martino per aver appoggiato in tutti questi anni Berlusconi:
E comunque, per farla breve, ricordate che stiamo parlando dell’uomo che, negli ultimi vent’anni ha avallato senza batter ciglio tutti gli sfondamenti di spesa e gli aumenti d’imposta che il suo leader ha inflitto al paese. La coerenza non è di questo mondo.
Non me ne voglia Seminerio, che comunque stimo, ma come si suol dire scagli la prima pietra chi è senza peccato. E mi rifersico proprio a lui, così come ai vari Boldrin, Giannino, Marcegaglia, che quando al governo c'era Berlusconi hanno fatto propaganda dopata per andare al governo tecnico; e ora che c'è il governo tecnico, il loro governo tecnico, ne hanno preso le distanze. Credevano forse che arrivato "Super Mario" arrivasse la rivoluzione liberale? Non li sfiora l'idea che se essa fosse stata possibile l'avrebbe già fatta Berlusconi?

No, cari Seminerio, Boldrin, Giannino e Marcegaglia, la coerenza non è di questo mondo. E non solo chi è senza peccato dovrebbe scagliare la prima pietra, ma vale anche il detto che una volta che la si scaglia sarebbe bene poi non nascondere la mano.

La posizione di Martino sarà anche criticabile, ma che scelta aveva? A posteriori mi pare che i fatti diano ragione a lui e non -per dire- a Della Vedova, che invece scelse di rompere con Berlusconi. Per non dire di tutti gli opinion maker, fra cui i succitati, che hanno traghettato il paese dalla padella alla brace.

lunedì 25 giugno 2012

Invece di chiederli, fateli gli Stati Uniti d'Europa!

Inizio qui una serie di articoli sull'Europa e l'Euro.

Rocco Buttiglione (UDC), Mario Pescante (PDL), Sandro Gozi (PD) e Benedetto Della Vedova (FLI) hanno scritto una lettera aperta a tutti i governanti d'Europa con la quale chiedono gli Stati Uniti d'Europa.


Gli vorrei poter dire: Cari signori, Monti è il vostro presidente del consiglio, dato che voi ne siete i principali sostenitori e in più gli altri partiti non sono contrari al vostro appello: quindi Monti vi ascolterà.
A questo punto basta che diate mandato a Monti di deporre al prossimo vertice UE una formale richiesta di costituire l’Europa federale.
Vedremo cosa gli altri paesi risponderanno. Se sì, ok. Se no, che la si finisca una volta per tutte di parlare di federalismo europeo nel dibattito politico italiano.

Perché alla fine andrà detto che l'unione politica dell'Europa è la foglia di fico dietro la quale i nostri politici nascondono l'assenza d'idee politiche nelle loro teste. E andiamo oltre: diciamo anche che l'europeismo italiano è figlio, oltre che del poco nazionalismo (il che magari potrebbe essere anche un bene), della meschinità di chi non vuole assumersi responsabilità e costi delle proprie scelte, del servilismo di chi è abituato da secoli ad essere dominato dagli altri, oltre che dall'opportunismo di poter ammollare il proprio debito ai ricchi nord europei.

La Merkel, demonizzata dai nostri commentatori, ci sta solo dicendo che i tedeschi non intendono pagare i nostri debiti, così come negli USA (stato federale) i texani non pagano quelli della California. Osserva il Wall Street Journal che lo scorso vertice a Roma fra i governi di Italia, Spagna, Francia e Germania può essere riassunto con le seguenti frasi:
"If I give money to Spanish banks, I'm the German chancellor but I can't say what these banks do." (Angela Merkel)


"There can be no transfer of sovereignty if there is not an improvement in solidarity." (François Hollande)

Chiosa il WSJ: Boiled down, this is a debate over whether Germany should write blank checks.

Spero di sbagliarmi, ma mi pare di poter dire che in Europa non si sta preparando l'unione federale o sovranazionale che i nostri politici ci stanno raccontando sin dal 1989, quando fu addirittura organizzato un referendum consultivo per dare (udite, udite) poteri costituenti al parlamento europeo.

venerdì 22 giugno 2012

Telese e i pannolini rossi

Cronache dal Coglionistan è lieto di dare il benvenuto a Pubblico, il nuovo giornale di Luca Telese, del quale temo ci occuperemo in futuro. Il sito web è appena stato attivato e, al di là del logo copiato da Libération, in primo piano ci sono foto di vari personaggi con delle loro frasi.



Al di là dell'immancabile Berlinguer (che, se la sinistra ha rinnegato il comunismo e l'URSS, non si capisce perché debba ancora venerarlo invece di metterlo nella spazzatura della storia accanto a Breznev, Gomulka, Honecker, Ceausescu & co.), la ragazza che vedete nella foto (quella in basso con l'anello al naso) è la cilena Camila Vallejo, quella che il Wall Street Journal ha giustamente ribattezzato la "red-diapers baby". La tipica figlia viziata del capitalismo. Una che ha la fortuna di essere nata nel paese più avanzato del sudamerica, ma che dice che il pensiero di Fidel Castro rappresenta la luce e la speranza per il Cile.

Vedo che questo giornale parte bene coi modelli.

lunedì 7 maggio 2012

"Tecnici arroganti e ignoranti"

Avevo scritto che il governo tecnico non avrebbe potuto nascere, perché gli interessi dei differenti partiti erano troppo confliggenti. I fatti mi hanno smentito. Ciò che ha reso possibile la nascita del governo Monti è stato l'atteggiamento del PDL che ha voluto ingoiare vari bocconi amari, che sin qui ne hanno determinato la caduta nei sondaggi.


Ora però qualcosa sta cominciando a smuoversi. Il vasto consenso nel paese che sin qui ha contribuito a sorreggere il governo sta iniziando a scricchiolare: la popolarità di Monti è in calo, c'è qualche segnale di delusione sulla blogosfera di sinistra, e anche alcuni editorialisti di idee liberali/conservatrici lo stanno apertamente scaricando.


Non ridete

Scrive Mario Sechi:
Il bilancio del governo Monti sulla questione fiscale è negativo. (...) Passi per le idee «tassa e spendi» del Partito Democratico, ma vorrei capire perché mai il Pdl dovrebbe continuare ad appoggiare una ricetta che massacra il suo elettorato.
Fin qui nulla di clamoroso. C'è dell'altro però: Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, già critici, hanno alzato i toni:
La spending review, e cioè l'analisi e revisione della spesa pubblica, ha partorito un timido topolino, un risultato quasi imbarazzante per il governo.

La spending review parte dall'ipotesi che sia «rivedibile» solo la spesa che non riguarda i trasferimenti sociali: ma se non si rimette mano in qualche modo anche al nostro stato sociale, rendendolo più efficace nel contrastare la povertà, anziché disperdersi in sussidi alle classi medie (si pensi all'università) non si fanno passi avanti.

Il governo sembra non rendersi conto che l'Italia rischia di avvitarsi in una spirale di tasse, recessione, deficit e ancor più tasse.
Oscar Giannino, uno di quelli che aveva spinto per la caduta di Berlusconi, dice:
Se dopo cinque mesi il governo dei tecnici chiama un altro tecnico come Enrico Biondi a occuparsene come commissario straordinario, è una commedia perché Bondi è un tagliatore aziendale eccezionale (...), ma fatto sta che di bilancio pubblico ne sa nulla e dunque per l’ennesima volta si comincia daccapo.
E aggiunge:
Questo governo è politico, e ha deciso di sposare e difendere lo Stato ladro.
Piero Ostellino, sul Corriere, citando Gobetti, arriva quasi a paragonare Monti a Mussolini:
il rifiuto del professor Monti della ragionevole (civile) proposta Alfano di poter scalare dalle tasse (dovute) i crediti (pretesi) rivela un totale disprezzo dei diritti dei cittadini.

Con un'opinione pubblica frastornata cui è stato fatto credere di essere in guerra – contro lo spread – le si nasconde che questo governo non è «la soluzione», ma sta diventando «un problema», e inclina verso un «fascismo di popolo»
Antonio Martino, che peraltro non ha mai votato né la fiducia né i provvedimenti del governo Monti gli dà dell'ignorante in economia:
Si è limitato a piegarsi supinamente di fronte all’idiotismo del diktat tedesco sintetizzato nello sciagurato fiscal compact, impegnando di pareggiare il bilancio entro il 2013 (ora slittato al 2014), dimostrando che l’economia non è pane per i denti di tecnici arroganti e ignoranti.
E ne chiede le dimissioni:
Le stupidaggini che ha sentenziato sull’”aver messo in sicurezza i conti pubblici”, avere “salvato l’Italia dal baratro”, “posto le condizioni per la crescita” entreranno, temo, a far parte del repertorio umoristico di molti comici. Tommaso Padoa Schioppa non era stato da meno quando aveva affermato che le tasse sono “nobili e bellissime”, tesi che Mario Monti credo condivida in pieno, tanto da essere convinto che sia saggio pareggiare il bilancio con un livello di spesa pubblica superiore al 50% del pil.

[È] incompatibile con le regole di una società libera imporre alle banche di trasmettere gli estratti conto all’agenzia delle entrate, limitare l’uso di contanti, e dichiarare interesse per una tassa sulla moneta! Se Monti vuole evitare di sprofondare nel ridicolo e nella generale esecrazione, facendo apparire quello di Malagodi e di Padoa Schioppa come un destino benevolo, può fare una sola cosa: chiedere scusa e dimettersi.