martedì 17 dicembre 2013

La più ampia maggioranza mai vista nella storia repubblicana - 2

Nei giorni scorsi il governo Letta ha ottenuto un nuovo voto di fiducia in seguito al cambio di maggioranza (il passaggio all'opposizione dei gruppi parlamentari del PDL). Peccato nessuno si sia soffermato su di un fatto del tutto evidente:
il governo Letta dispone oggi di una maggioranza più ampia di quella avuta da qualsiasi governo Berlusconi
Ed è pure, per citare le parole dello stesso Letta, una maggioranza più compatta e coesa. Cioè, tradotto in un italiano semplice, ha i numeri per far passare tutto, comprese le riforme costituzionali, senza bisogno di negoziare con alleati che remano contro. Perché NCD e centristi non sono oggi in condizione di mettere il veto su nulla, a meno di volersi suicidare politicamente, visti i sondaggi. E non ha neanche bisogno di negoziare con Grillo, come invece sta cercando di fare Renzi: se vuole fare riforme buone, che le approvi a colpi di maggioranza, per usare un lessico di sinistra. Se sono buone, gli Italiani le confermeranno in sede di eventuale referendum. Se invece Renzi e Letta hanno la coda di paglia e intendono fare riforme mediocri, ma solo con le opposizioni per far sì che un referendum non sia possibile, allora è un altro discorso.

I numeri: alla Camera il governo Letta ha ricevuto la fiducia di 379 contro 212. Il governo Berlusconi del 1994 ebbe 304-245, quello del 2001 ebbe un 351-261, quello del 2008 ebbe un 335-275. Al Senato il governo Letta è passato con 173-127, mentre il governo Berlusconi del 1994 ebbe un 159-153, quello del 2001 ebbe un 175-133 e quello del 2008 ebbe un 173-137. I voti presi in considerazione sono quelli delle prime fiducie, quelle più "numerose".

martedì 10 dicembre 2013

È una follia - 3

C'è chi stigmatizza coloro, fra i quali c'è chi scrive, che hanno criticato la sentenza della corte costituzionale prima di conoscerne le motivazioni. Benché il rilievo sia formalmente corretto, nella sostanza, a meno che la corte non ci stupisca tirando fuori un improbabile motivo d'incostituzionalità a sorpresa, cioè che sino ad ora non era stato previsto da nessuno, i motivi addotti sono o noti (basta rifarsi al dibattito - tutto ideologico - contro il porcellum) o desumibili dal ricorso che ha portato alla sentenza.

E allora andiamo a leggerlo questo ricorso. Questo ne è, per quanto riguarda il premio di maggioranza, il passaggio chiave:
La normativa denunciata è quindi viziata di illegittimità costituzionale perché consente che le maggioranze non siano genuina espressione del voto espresso dal corpo elettorale, ma che si formino in base all’attribuzione di un premio secondo un criterio arbitrario, irrazionale e casuale (assenza di una soglia minima di suffragi).
Questo sistema viola il principio di cui all’articolo 48 della Costituzione dell’eguaglianza anche sostanziale del voto, in base al quale non può darsi valore o peso diverso ad un voto a seconda del risultato elettorale, e può premiare formazioni politiche sebbene siano meno rappresentative con grave distorsione della volontà degli elettori, della rappresentanza politica e dell’assetto e del funzionamento delle Camere.
In parole semplici viene detto che siccome la Costituzione stabilisce il principio di uguaglianza dei cittadini anche quando votano alle elezioni, detto principio verrebbe rispettato solo se tutti i voti venissero tradotti in seggi in misura eguale, cioè secondo il principio della rappresentanza proporzionale. Per cui se una legge elettorale si distacca da detto principio, quanto più se ne distacca, tanto più essa è incostituzionale.

Che dei ricorrenti di sinistra (tale si è definito l'Avv. Bozzi), e quindi per formazione ideologica influenzati dal positivismo di tradizione europea continentale e viceversa assai digiuni del pensiero liberal-conservatore di matrice anglosassone, facciano questi ragionamenti non stupisce. Stupisce che una corte costituzionale di un paese occidentale li faccia propri.

Perché sostenere, come hanno fatto i ricorrenti, che il premio di maggioranza, siccome non è subordinato a una soglia minima di suffragi, allora sarebbe arbitrario, irrazionale e casuale è un ragionamento che non sta in piedi. Supponiamo infatti che la legge preveda una soglia minima. Quale? Il 40% andava bene? E perché chi raggiunge il 40% sarebbe degno di vedere la sua rappresentanza in parlamento salire al 55% a scapito del 60% degli elettori che invece vedrebbe la sua rappresentanza scendere al 45%? Non sarebbe anche quello un criterio arbitrario, irrazionale e casuale?

E poi perché sarebbe legittimo dare la maggioranza assoluta dei seggi a chi vincesse col 40%, mentre sarebbe legittimo negarla a chi vincesse col 39%? Ovvero perché stabilire la soglia a quota 40? E se invece ci fosse stata una soglia al 30%? O al 25%? Perché una soglia più bassa sarebbe troppo bassa? In base a cosa stabiliamo questa soglia minima?

Il problema alla base è che una legge o si ispira al principio della rappresentanza proporzionale oppure si ispira al principio maggioritario dell'indicazione, sia pure indiretta, di chi governa e di chi sta all'opposizione. Ma se il sistema è ispirato a questo secondo tipo (e il porcellum, ancorché, come spesso accade, fosse un mix delle due ispirazioni, prevalentemente lo era) allora non ha alcun senso rimproverargli di non ispirarsi all'altro!

Diciamolo in parole ancora più semplici: dire che un premio di maggioranza è  arbitrario, irrazionale e casuale se non è subordinato a una soglia minima di suffragi equivale a dire che un sistema maggioritario è incostituzionale se non corrisponde al risultato che si avrebbe avuto con la proporzionale. Ma lo scopo del maggioritario è proprio quello di alterare il risultato che altrimenti si avrebbe avuto con la proporzionale!


E quindi si ritorna alla considerazione che ho già fatto: la corte costituzionale ha interpretato la carta secondo l'impostazione ideologica dei suoi membri, e in base a essa ha proibito il maggioritario in Italia. Quello che il 75% degli Italiani scelsero nel referendum Segni-Pannella del 1993. Siamo alla restaurazione della prima repubblica.

venerdì 6 dicembre 2013

È una follia - 2

Nell'attesa di saperne di più, questo è il comunicato stampa della Corte Costituzionale:

Incostituzionalità della Legge elettorale n. 270/2005

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.

La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.

Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.

Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali.
Partiamo di lì. Due illegittimità costituzionali: il premio di maggioranza e la lista bloccata.

  • Premio di maggioranza - La corte non ha detto che il premio di maggioranza è incostituzionale "nella parte in cui" o "nella misura in cui non si applica a" o "se attribuito a prescindere dal raggiungimento di una certa soglia" o altre forme di parziale incostituzionalità. Se avesse ragionato in quei termini il premio di maggioranza sarebbe tuttora in vigore, ma sottoposto a condizioni.
    Dal comunicato si evince che la corte ha dichiarato il premio di maggioranza incostituzionale tout court. Che lo è in quanto tale. Ovvero che ogni premio di maggioranza è incostituzionale, perché, si può supporre, determina disuguaglianze fra i cittadini facendo pesare alcuni voti più di altri. Quello è in altre parole lo stigmatizzare la violazione del principio di rappresentaza proporzionale.
    Se ogni premio di maggioranza è incostituzionale, la conseguenza è che tale sarà ogni sistema elettorale maggioritario.
  • Lista bloccata - Se la corte l'ha dichiarata incostituzionale evidentemente ritiene che violi il principio democratico, la sovranità popolare, laddove ne limita l'esercizio alla scelta di una lista e delle relative candidature così come predisposte dal partito.

Veniamo alle conseguenze. La prima è che ora è in vigore una legge elettorale proporzionale con sbarramento al 4% alla Camera e all'8% al Senato. Tale sbarramento non si applicherà se si verificheranno certe condizioni (essere il primo partito sotto dette soglie di una coalizione che abbia conseguito una certa percentuale).

Una prima considerazione è che detto sbarramento, pur nel suo piccolo, è anch'esso un meccanismo distorsivo della rappresentanza proporzionale. In soldoni è un mini premio di maggioranza distribuito ai partiti più grandi. Che può dare la maggioranza assoluta a un partito o a una coalizione senza che questi l'abbiano avuta nelle urne. Ma su questo la Corte non ha statuito.

Una seconda considerazione è che questi nuovi principi costituzionali enunciati dalla corte, oltre a restringere l'ambito di scelta del parlamento riguardo alla futura legge elettorale, se ve ne sarà una, potrebbero applicarsi ad altre leggi elettorali in vigore: il sistema maggioritario con cui si eleggono i consigli comunali e provinciali, quelli con cui vengono eletti i consigli regionali, nonché, in quanto sistemi maggioritari, le elezioni dirette di sindaci, presidenti di giunte provinciali e regionali.

Una terza considerazione è che il parlamento non potrà scegliere di tornare al mattarellum: innanzi tutto la quota proporzionale alla camera era basata su liste bloccate; poi nei collegi alla camera e al senato venivano proposte agli elettori delle candidature "bloccate". Mi spiego: una lista bloccata è una lista "verticale" in cui si viene eletti secondo la posizione in cui ci si trova, dall'alto verso il basso, a seconda di quanti voti prende il partito. Nel mattarellum, ogni partito o coalizione presentava una lista "orizzontale" di 475 candidature sul territorio nazionale, una per ogni collegio, in cui venivano eletti a seconda del consenso del rispettivo partito in quel luogo. Per cui un candidato della sinistra passava se correva in un collegio rosso, faceva invece atto di presenza se correva in uno bianco, e viceversa, con delle reali possibilità limitate alle sole zone "in bilico".

Si dirà "ma gli elettori votano per la persona". Sì, buonanotte: andate a vedervi i risultati dell'ultima volta che si è votato coi collegi uninominali. Per esempio nel 2001, collegio del senato a Milano, chi credete che abbia vinto fra un già discusso Dell'Utri ed Emma Bonino?
Il voto per la persona funzionerebbe se non ci fossero i finanziamenti ai partiti ma ai singoli candidati come negli USA, se sulla scheda non ci fosse il simbolo del partito e soprattutto se il voto in Italia non fosse per schieramento ideologico.

E poi l'elettore si trovava un candidato imposto, senza possibilità di sceglierne un altro a meno di votare per un altro partito. E addirittura gli poteva toccare un candidato di un altro partito coalizzato col suo.

Comunque sia il mattarellum è incostituzionale (secondo la nuova dottrina) anche e soprattutto perché viola il principio della rappresentanza proporzionale. Se Tizio prende il 35%, Caio il 30%, Sempronio il 25% e Mevio il 10%, Tizio col 35% si porta a casa il 100% del collegio, mentre il 65% degli elettori resta senza rappresentanza. E se la stessa cosa avvenisse in ogni collegio il partito di Tizio con solo il 35% dei voti avrebbe una maggioranza bulgara in parlamento.

Quindi anche la proposta Renzi (mattarellum con premio di maggioranza al posto dela quota proporzionale) è incostituzionale. Lo è anche il sistema britannico e pure quello francese a doppio turno. Infatti la maggioranza assoluta che il vincitore del secondo turno consegue è tale solo perché all'elettore viene imposta la più "bloccata" delle scelte che ci sia: quella fra due candidati che non sono riusciti a farsi votare dalla maggioranza degli elettori. È un'elezione talmente "bloccata", che spesso l'affluenza degli elettori al secondo turno (che invece è il più decisivo dei due) cala vistosamente.

Moriremo proporzionali. Non è la fine del mondo; è solo il sancire che d'ora in avanti, anche sul piano formale, gli elettori conteranno di meno: non ci saranno più "ribaltoni" o "commissariamenti" ma anzi le manovre di palazzo saranno la normalità.

giovedì 5 dicembre 2013

È una follia - 1

Pensate: era da fine 2005 che avevamo una legge elettorale incostituzionale, e non lo sapevamo. Non lo sapevano neanche i nostri professori di diritto costituzionale, almeno la stragrande maggioranza di loro: chi stigmatizzava il "Porcellum" lo faceva perché nel merito la riteneva una cattiva legge, perché le liste bloccate davano più potere ai partiti e meno agli elettori, perché il premio di maggioranza al senato non garantiva una maggioranza, e così via.

Basterebbe questo per affermare che quella di ieri è una sentenza politica, l'ennesima della corte costituzionale, l'organo che che applica non la costituzione formale, ma quella materiale.

Questa sentenza è una follia, è una vergogna. Questo agire della corte costituzionale è un abuso delle sue prerogative. Di solito quando qualcuno abusa di un diritto o di un potere questo prima o poi gli viene tolto. Con le buone o con le cattive.

Il minimo che si possa dire è che con questa sentenza anche la corte costituzionale entra ufficialmente nella lista delle cose da riformare per rendere il paese governabile.

Tornerò a scrivere sul merito delle questioni giuridiche della sentenza. Sulle conseguenze politiche ha efficacemente scritto Christian Rocca.

mercoledì 27 novembre 2013

Sperimentare per prevenire

La soglia di povertà in Italia è stabilita a 1000 euro al mese per una coppia o a 1630 euro per una famiglia con due figli a carico. Nel 2008 l'ISTAT stimava che 1.126 mila famiglie (per un totale di 2 milioni e 893 mila individui) fossero sotto quella soglia. Dati del 2008: oggi temo che quei numeri siano più alti.

Facciamo finta che siano tuttora buoni e supponiamo che lo stato voglia dare 300 euro al mese in media ai più poveri. Stanziando 40 milioni di euro all'anno, come deciso dal governo Letta circa 11 mila persone beneficeranno di quel sussidio. Cioè pari a meno dello 0.4% dei poveri in Italia.

E allora cosa fa il governo Letta per da un lato annunciare alla stampa l'introduzione del reddito minimo e dall'altro giustificare uno stanziamento di fondi palesemente irrisorio? Dice che si tratta di una sperimentazione. Come se i destinatari di tale misura fossero delle cavie sottoposte a una terapia di cui si ignorano gli effetti. E che quindi è opportuno sperimentarne gli effetti solo su di un campione del 0.4% al fine di salvaguardare il restante 99.6% da spiacevoli effetti collaterali imprevisti.

Ma cosa ci sarà mai da sperimentare nella concessione di un sussidio di povertà? Forse Maria Cecilia Guerra, Viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali, tanto brava a pontificare quando scriveva su lavoce.info, ora che invece è all’opera non è sicura degli effetti di questa misura?

E poi perché si scelgono i poveri che vivono nelle grandi città? Forse sono più poveri o meritevoli degli altri? O forse li si immagina più probabili elettori del PD?

Non lo leggerete su nessun giornale o portale web, ma definirla “sperimentazione” è solo un modo di gettare del fumo negli occhi della gente. L'effetto annuncio con la sperimentazione intorno. Per poi andare a vantarsi nei talk show di avere introdotto il reddito minimo, mascherando però il fatto che viene finanziato con lo 0.5% (40 milioni di euro) delle risorse che invece occorrerebbero (7 miliardi).

Un popolo di coglioni si merita un governo di pezzenti.

Cuneo fiscale o produttività?

Scrive Francesco Forte, di certo il più lucido commentatore economico di cose italiane in questi anni, a proposito del recente commento del Wall Street Journal sulle politiche del governo Letta:
I mali che il Wsj individua e le terapie che suggerisce, e che io condivido, sono assai differenti da quelle correnti che circolano nella Confindustria e fra i “riformisti” del Pd, che in parte le riecheggiano. Non c’è in questo articolo neanche un cenno al falso rimedio che essi sostengono: la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro. Per me bugiardo surrogato della crescita della produttività che si può attuare solo fuoriuscendo dallo stato neo corporativo.
(...)
Mi pare condivisibile la diagnosi del quotidiano conservatore in cui c’è come punto centrale la non crescita che dipende dal mancato aumento della produttività, come detto. Questa è a sua volta collegata alla triade della mancata riforma del mercato del lavoro, della giustizia e della Pubblica amministrazione, dove albergano i tre grandi blocchi neo corporativi: di sindacati e Confindustria, della magistratura e delle burocrazie ai tre livelli di governo (centrale, regionale e locale) con le aziende ad essi connesse. Un’enfasi diversa da quella sulla regola del 3 per cento del bilancio da cui sono ossessionati il governo Letta e Bruxelles. Ma è appunto dalla produttività che dipende la riduzione del deficit e soprattutto del debito.
Riepilogando,
  • questi sono i tre principali problemi che frenano l'economia italiana:
  1. il mercato del lavoro
  2. la giustizia
  3. la pubblica amministrazione
  • e questi sono i tre blocchi che ne impediscono la riforma:
  1. i sindacati (e la Confindustria)
  2. la magistratura
  3. i dipendenti pubblici (e le aziende private che vivono di commesse pubbliche)
Si noti che i tre problemi sono quelli che Berlusconi indicò come tali, ma che non è riuscito a risolvere, mentre i tre blocchi sono proprio quelli che lo hanno avversato.

La morale della favola è chi governa e chi governerà potrà avere successo se sconfiggerà quei tre blocchi (o li convincerà a collaborare) al fine di riformare quei tre grandi problemi.

Ci sono le condizioni? Vaste programme, avrebbe detto De Gaulle. Forte si limita a fare questa considerazione:
mi pare sbagliata la tesi del Wsj secondo cui si potrebbe evitare il camposanto, mediante Matteo Renzi. Lui non ha mai affrontato la “triade di riforme” di cui il quotidiano americano è paladino. Ma il Wsj ha ragione nel dire che queste riforme trovano un grave ostacolo nel Pd
Comunque vada prima o poi il PD, guidato o meno da Renzi, si troverà davanti il dilemma se affrontare il problema della produttività  riformando davvero il paese (e quindi mettendosi contro i suoi elettori) oppure uscendo dall'Euro (e quindi rimangiandosi le sue ben radicate convinzioni).

martedì 26 novembre 2013

A proposito di larghe maggioranze

A proposito di larghe maggioranze e conseguenti aspettative da parte della gente. Scriveva l'autorevole Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (il grassetto è mio):
Una buona legge maggioritaria (ammesso, e non concesso, che egli riesca ad ottenerla) non basta per dare al Paese un buon governo. È una condizione necessaria, ma non sufficiente. Senza una riforma costituzionale che, per lo meno, superi il bicameralismo simmetrico (due Camere con uguali poteri) e dia qualche strumento di azione in più al primo ministro, un governo efficace ed efficiente non è possibile. Anche con una buona legge elettorale Berlusconi (come chiunque altro), in assenza di interventi sulla Costituzione, rischia domani di fallire nella azione di governo, pur disponendo, eventualmente, di una larga maggioranza parlamentare.
In realtà l'articolo di Panebianco non è di qualche anno fa, ma di oggi. E la parola in neretto Berlusconi l'ho messa io al posto della parola Renzi. Credo di aver reso l'idea.