martedì 25 ottobre 2011

Note su debito e spesa pubblica

Una delle più sterili discussioni avviene quando i fan della sinistra sostengono che Prodi avrebbe messo i conti in ordine, mentre invece Berlusconi li avrebbe "scassati" (per usare le parole di Bersani).
Quando però si chiede in virtù di cosa, di quali provvedimanti, successi ed insuccessi sarebbero avvenuti, nessuno è in grado di dirlo. Perché, sia chiaro, la spesa pubblica aumenta o diminuisce non tanto per buona o cattiva gestione, ma perché vengono approvate leggi che la fanno aumentare o diminuire.

L'errore che viene comunemente fatto è quello di prendere il debito e la spesa pubblica come percentuale del PIL: così facendo basta che sia il PIL ad aumentare o diminuire per cambiare le cose. Come in questo grafico (fonte: Eurostat):



Se prendiamo il debito pubblico come percentuale del PIL esso è diminuito. Ma la ragione è che negli anni in cui è diminuito è il PIL ad essere aumentato. Infatti se prendiamo il debito in valori assoluti:


E qui è in valori assoluti, ma paragonato al debito di Germania, Francia e Spagna:


Il grafico seguente (fonte: BCE) mostra la spesa pubblica (in miliardi di Euro) in valori assoluti dal 1980 ad oggi:


Come si vede, ci sono degli anni in cui rallenta a cui seguono dei picchi che riportano la crescita a un'inclinazione costante. In particolare, durante la legislatura 1996-2001 (governi Prodi, D'Alema e Amato, con Ciampi e Visco), questa fu la spesa:

1997 - 527.045
1998 - 534.337
1999 - 542.566
2000 - 549.009
2001 - 598.977

Ovvero la spesa crebbe poco dal 1997 fino al 2000 (solo 22 miliardi di euro), ma in un solo anno, dal 2000 al 2001 crebbe di 49 miliardi. Quali furono le ragioni (spese posticipate, incassi anticipati, rinnovi dei contratti dei dipendenti, etc.) è cosa che lascio a chi voglia andare ad analizzare i dettagli delle maggiori spese e le loro cause. Quello che conta è la tendenza di lungo periodo.

Un'ultima osservazione: nel quinquennio dell'Ulivo la crescita della spesa pubblica diminuì, salvo poi aumentare di molto l'ultimo anno. Anche in questi ultimi anni il governo è riuscito a diminuire la crescita, e nel 2010 la spesa pubblica è addirittura diminuita rispetto all'anno precedente:


Questo grafico del FMI mostra anche la proiezione per gli anni futuri fino al 2015: come si vede, a meno di non fare riforme strutturali (delle pensioni, della sanità, del pubblico impiego, etc.), a periodi di risparmi seguono periodi in cui la spesa aumenta vanificando i risparmi precedenti.

mercoledì 12 ottobre 2011

La gioiosa macchina da guerriglia

È certamente cosa lecita ipotizzare che quando il governo va sotto dietro ci siano non delle mere assenze casuali, ma delle assenze volute. Che quello sia lo scenario da approfondire non toglie il fatto che sarebbe bastato un deputato in più rientrato in aula qualche secondo prima per parlare oggi d'altro.

Come ho scritto in un articolo precedente, quando un governo ha un margine di una trentina di deputati è statisticamente facile mandarlo sotto. Basta che i ministri stiano facendo altro, che dei deputati siano in missione, etc. etc.

Se poi a tutto ciò si aggiunge la tecnica dell'opposizione di presentare centinaia di emendamenti, inutilissime mozioni, richieste di verifica del numero legale e quant'altro i regolamenti parlamentari permettono, l'opposizione nei fatti ha il potere di rallentare -e di molto- il processo di approvazione delle leggi.

Nello specifico ieri le cose sono andate così:
Il trucco di Giachetti, deputati nascosti prima del voto
Tre democratici in corridoio, rientrati per la conta decisiva

Roma, 11 ott. (TMNews) - Il giochetto di Roberto Giachetti: non è uno scioglilingua ma un piccolo tranello orchestrato ai danni della maggioranza dal segretario d'aula del Partito democratico alla Camera. Pochi istanti prima della votazione che ha affondato l'articolo 1 del rendiconto finanziario dello Stato, in un'altra votazione la maggioranza se l'era cavata per pochi voti.

In quel momento, secondo quanto raccontano fonti parlamentari dell'opposizione, Giachetti aveva 'nascosto' in un corridoio tre deputati per tenere leggermente più bassi i numeri dell'opposizione e depistare la maggioranza. Quei deputati poi sono rientrati insieme in aula cambiando i numeri al momento opportuno e determinando la sconfitta della maggioranza alla presenza del presidente del Consiglio.
Questa è guerriglia parlamentare. Solo che così facendo il PD fa perdere tempo al parlamento, che dovrà votare di nuovo il bilancio, e quindi al paese.

Questo è sfascismo: qui non ci sono i diritti costituzionali in gioco, cosa che giustificherebbe quest'atteggiamento, ma c'è il legittimo desiderio di una maggioranza scelta dal popolo di dettare l'agenda politica e di approvare le leggi proposte.

Il parlamento non è una campo da battaglia dove si tenta di dare spallate al governo per avere i titoli dei giornali. Comportarsi così non è degno della leale opposizione di sua maestà. Quella che vorrebbe un domani andare al governo. E che ci deve andare solo se convince il popolo di essere migliore di chi governa oggi. Ma essere leali è incompatibile col sabotare l'indirizzo politico della maggioranza. Quello è un comportamento sleale.

Il PD deve scelgiere una buona volta se vuole essere un partito di lotta o un partito di governo: Berssani & Co. avrebbero fatto una figura migliore se avessero fatto uscire qualche deputato dall'aula, e avessero poi rivendicato il merito di aver fatto passare il bilancio, a fronte di una maggioranza incapace di portare i suoi in parlamento.

Invece ancora una volta hanno preferito giocare la carta dello sfascismo, del tanto peggio tanto meglio. E purtroppo non è una mera scelta errata del gruppo dirigente del PD, ma un retaggio culturale dell'ex-PCI, abituato a usare la piazza come un luogo dove celebrare un rito che evocasse la rivoluzione di popolo contro l'ordine costituito.

E quel che è peggio è che il popolo della sinistra incoraggia questo tipo di comportamento: infatti ogni volta che la maggioranza approva una legge particolarmente sgradita sono pronti numerosi gruppi di elettori "indignati" che rinfacciano questa e quell'assenza in aula di deputati dell'opposizione e che chiedono a Napolitano di farsi loro complice non firmandola.

Occorre purtroppo prendere atto che il centrodestra si trova ancora, a 17 anni di distanza, a fronteggiare uno schieramento, in parlamento e nel paese, che ha la mentalità della gioiosa macchina da guerra. Solo che oggi, confinata all'opposizione in parlamento, è solo una gioiosa macchina da guerriglia.

mercoledì 5 ottobre 2011

La balla della "Papi's Tax" di Tito Boeri

Cronache dal Coglionistan si occupa oggi di Tito Boeri, noto al grande pubblico per essere uno degli accademici che Floris invita ogni tanto per sostenere le ragioni del PD. Egli è professore di economia all'Università Bocconi; è il fondatore del sito La Voce, su cui il 23 settembre ha pubblicato un articolo intitolato La Papi's Tax, tradotto il 4 ottobre in inglese sul sito Vox-EU, nel quale sostiene che il maggiore tasso d'interesse sui titoli di stato che l'Italia sta pagando in questi ultimi mesi rispetto a quello pagato dalle corrispettive obbligazioni spagnole sarebbe da attribuire alla cattiva azione del governo durante l'estate e alla cattiva immagine di Silvio Berlusconi, che, a causa dei ben noti scandali, ingenererebbe sfiducia negli investitori. A rinforzo della sua tesi Boeri cita imprecisati studi

tra l’economia e la psicologia, basati su tecniche di priming, che documentano come gli individui messi a conoscenza di particolari poco edificanti sulla vita privata dei leader politici rinuncino a comprare i titoli di stato di quei paesi.
Ciò, secondo Boeri,
spiegherebbe il nuovo allargamento dello spread dopo la pubblicazioni delle nuove intercettazioni sulla vita privata del nostro premier.
Qui si può fare subito un appunto: se esistono studi che provano tale rapporto di causa ed effetto, la pubblicazione delle intercettazioni spiega o, come scrive Boeri usando la forma dubitativa propria del condizionale, spiegherebbe l'allargamento dello spread?

In altre parole, Boeri è sicuro di ciò che afferma o sta solo facendo un'ipotesi?

Boeri però, ipotesi o certezza che sia, continua ad argomentare:
Per capire quanto sia rilevante, ponetevi la seguente domanda: comprereste un auto usata da chi, ne avete la prova, in pubblico dice una cosa e, in privato, ne fa un’altra? Finché rimane a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi è, volenti o nolenti, il primo venditore dei nostri titoli di stato e non vi è dubbio che il mercato ci fa pagare un prezzo anche per la sua scarsa credibilità personale.
Altro appunto: per quanto suggestivo possa essere, ha senso paragonare un titolo di stato ad un'auto usata? Un'auto d'occasione può celare difetti non dichiarati dal proprietario che un normale acquirente non è in grado di notare. Quindi, siccome l'acquirente può solo fidarsi del venditore, la credibilità di quest'ultimo è determinante.

Ma un titolo di stato quali difetti può nascondere? In sé ovviamente nessuno. L'unico timore dell'investitore è una futura volontà di chi lo emette di non onorare il suo debito, in tutto o in parte. E cosa può portare l'Italia a ciò? Un peggioramento dei conti pubblici stile Grecia o Argentina 2001. Quindi Boeri pare suggerire che i comportamenti privati di Berlusconi ingenerino negli investitori timori di buchi di bilancio, occultati o che si produrranno in futuro, i quali in ultima analisi provocherebbero il default.

Credo che a questo punto sia evidente a tutti che il condizionale è d'obbligo: l'affermazione di Boeri, giusta o sbagliata che sia, è astrattamente indimostrabile. Tuttavia ciò non toglierebbe che possa essere ragionevolmente condivisibile. Ma non lo è. Vediamo perché.

Boeri correda il suo articolo di un grafico nel quale mostra che, in corrispondenza di certi eventi accaduti durante l'estate, lo spread Italia-Spagna (in rapporto ai bund tedeschi decennali) sia aumentato. Ma il grafico riportato da Boeri prende in considerazione solo il periodo successivo al 24 giugno 2011. Andiamo a vedere qual era lo spread prima. La prima figura qui sotto (i grafici sono a disposizione di tutti sul sito della Bloomberg) mostra la differenza negli ultimi dodici mesi fra lo spread fra i titoli di stato italiani e tedeschi a scadenza decennale e lo spread fra quelli spagnoli e tedeschi. In pratica lo spread italiano è la linea arancione e quello spagnolo la linea verde.



Come si vede, prima del mese di agosto la differenza era sostanzialmente nulla e prima ancora era la Spagna a pagare un tasso maggiore. Forse in quel periodo le vicende personali di Berlusconi non erano note?


Si osservi poi i due grafici seguenti: il primo mostra la differenza fra il tasso francese (abastanza stabile, in arancione) e quello italiano (in verde) negli ultimi cinque anni, e il secondo la differenza fra tasso francese e spagnolo nello stesso arco di tempo. Come si può notare a colpo d'occhio le due curve verdi non sono molto diverse.



Le vicende giudiziarie di Berlusconi erano già note in tutto il mondo nel 2007, quelle private (dal caso Noemi in poi) iniziano a maggio del 2009. Se qualcuno vuole trovare correlazioni fra l'andamento del tasso italiano e le vicende Noemi, D'Addario, foto in Sardegna, Minetti, Ruby e quant'altro temo sarà un'arrampicata sugli specchi.

Sarebbe stato più onesto da parte di Boeri scrivere che lo spread italiano riflette la paura generata dal possibile default greco, dato che l'Italia è in percentuale il secondo paese più esposto ai finanziatori dopo quello ellenico. E che Italia e Spagna sono trattati dagli investitori in maniera simile, e che ciò che conta è che la Spagna ha oggi un debito attorno al 67% del PIL, mentre l'Italia lo ha al 120%.

L'articolo di Boeri sarebbe stato più credibile se si fosse limitato a dire che
I punti accumulati sembrerebbero riflettere ritardi nella reazione del nostro governo almeno rispetto a quello spagnolo, pur dimissionario.
Tuttavia questa frase contiene una bugia: infatti il governo spagnolo non è dimissionario, come chi legge questo blog sa.

Conclusioni

L'articolo di Tito Boeri appare come un tentativo di mascherare da dotta analisi finanziaria quello che in realtà è uno dei tanti articoli di propaganda politica. Il succo del suo discorso è che la Spagna andrebbe meglio dell'Italia, perché Berlusconi, a differenza di Zapatero, ha una vita privata sregolata, e in più non si vuole dimettere. Se l'avesse messa in questi termini invece di confondere le acque, sarebbe stato più sincero.

* * *

Aggiornamento, 2011/10/07 -  Il fondo previdenziale danese ATP (un patrimonio di circa 122 miliardi di dollari) ha annunciato che non investirà più in buoni del tesoro italiani, francesi o di altri paesi mediterranei. Si noti bene: non solo italiani o dei paesi "PIGS", ma anche francesi. Sarà mica colpa della Carla's Tax?

Aggiornamento, 2011/10/09 - Ero stato il primo a commentare l'articolo sula Papi's Tax, facendo notare l'errore delle dimissioni di Zapatero, ma, a differenza di altri, non ho ricevuto risposta. È da qualche giorno che ho messo un commento all'articolo su VoxEU, dove ho fatto notare l'errore sulle dimissioni di Zapatero e sul fatto che la supposta "Papi's Tax" opererebbe da quest'estate, ma curiosamente nei due anni precedenti no. Il commento è tuttora in attesa di moderazione. A questo punto temo che resterà tale. La cosa non fa onore a Tito Boeri, ma conferma la mia sensazione che quell'articolo sia un caso in cui si cerca di piegare i fatti alle proprie opinioni. Ricordatevelo quando lo vedrete di nuovo parlare in veste di accademico a Ballarò.

Aggiornamento, 2011/10/12 - Vedo dalle statistiche degli accessi al sito che qualcuno del sito VoxEU ha ricevuto e letto il mio commento, e ha fatto click sul link che porta a quest'articolo:

Tuttavia il mio commento sul loro sito è tuttora in attesa di moderazione.

Aggiornamento, 2011/10/12 (2) -Il Prof. Ugo Arrigo, che insegna Scienza delle Finanze all'Università La Bicocca di Milano, ha fatto questa considerazione in un suo articolo su Il Fatto Quotidiano:

Ovvero, Arrigo dice che occorre cambiare chi fa la politica economica del paese, ma che -attenzione- non vi è un'opposizione pronta a prendere la direzione auspicabile, e per questa ragione i mercati stanno punendo l'Italia con un alto tasso d'interesse.

Allora la vogliamo dire tutta? Altro che "tassa Berlusconi": la Spagna sta beneficiando -fra le altre cose- di una "non tassa Rajoy", cioè l'aspettativa dei mercati che con un governo PP il paese otrnerà a crescere. Cosa che noi non abbiamo: anzi i mercati sanno perfettamente che o governa Berlusconi (con Tremonti) o governa Bersani (con Vendola): questa è la tassa che abbiamo sul groppone.

Aggiornamento, 2011/10/14 - Dopo Fitch, oggi anche S&P ha abbassato il rating della Spagna.

Aggiornamento, 2011/10/19 - ...e oggi è il turno di Moody's, che ha declassato la Spagna da Aa2 ad A1.

martedì 4 ottobre 2011

Dimissioni? Perché mai?

Cercate "cacciare il governo", e Google vi troverà ben un milione e trecentomila occorrenze. Oggi financo Confindustria intima che il governo in carica, o fa quello che gli industriali chiedono, oppure se ne deve andare. La richiesta è poi ripetuta dai tre maggiori giornali italiani (Corriere, Repubblica e Stampa), e dalla blogosfera tutta.



Fonte: Il Foglio

Pare che rispettare le regole del gioco e aspettare le prossime elezioni, che saranno al più tardi fra diciassette mesi, sia un qualcosa di insostenibile. Che oggi saremmo sull'orlo del baratro, e che se non cambiamo guida nel baratro ci cadremo per davvero. Che il nuovo governo che sostituirebbe l'attuale sarebbe in grado di fare tutte le riforme che la maggioranza del Caimano si ostina a bloccare.

Stupisce il fatto che a nessuno venga in mente una semplice considerazione di buon senso: che le riforme le fa il parlamento e non il governo. E che questo parlamento non ha nessuna intenzione di farle, perché ritiene che la maggioranza degli elettori  non le voglia.

Quindi chi vuole cacciare questo governo dovrebbe invocare le elezioni anticipate. Allora Bersani dice
Berlusconi faccia come Zapatero, "o si va a votare subito o si trova lo spazio di una soluzione transitoria in netta discontinuita' con il passato". Per Bersani il premier "dovrebbe andare al Quirinale e rimettere il mandato nelle mani del Presidente Napolitano"
Il problema è che Bersani racconta balle: Zapatero non si è dimesso. Egli un giorno è andato dal Re di Spagna e gli ha chiesto di sciogliere le camere, cosa che, ai sensi dell'art. 115 della Costituzione Spagnola, il Re ha fatto:
El Presidente del Gobierno, previa deliberación del Consejo de Ministros, y bajo su exclusiva responsabilidad, podrá proponer la disolución del Congreso, del Senado o de las Cortes Generales, que será decretada por el Rey. El decreto de disolución fijará la fecha de las elecciones.
Per cui il governo Zapatero è rimasto nel pieno dei suoi poteri, e ha solo fissato a suo piacimento elezioni anticipate a sorpresa.

Volete che Berlusconi faccia lo stesso? Non si direbbe. Quando a luglio 2010 i finiani uscirono dalla maggioranza a Berlusconi fu detto che Napolitano non avrebbe concesso le elezioni anticipate, ma che avrebbe cercato di salvare la legislatura, che Berlusconi avrebbe dovuto prima dimettersi, che il Presidente della Repubblica avrebbe tentato la strada di un governo di transizione/tecnico/di-unità-nazionale (o altre formule di fantasia per infinocchiare la gente), etc. Ovvero, a Berlusconi fu fatto capire che avrebbero cercato di fargli le scarpe in parlamento con un ribaltone, altro che dare la parola al popolo. Di qui la contromossa di inglobare i "Responsabili". Che altro poteva fare?

Si dirà: ma Zapatero, oltre alle elezioni anticipate, ha annunciato che non si ricandiderà, e quelle sono dimissioni di fatto. Ma anche Berlusconi ha detto che il prossimo candidato premier sarà Alfano. Quindi ha fatto come Zapatero. Manca solo lo scoglimento delle camere. Ma quello è la sinistra a non volerlo.


Aggiornamento - La Repubblica ha appena messo come prima notizia delle dichiarazioni di Tremonti:

Alla domanda dei giornalisti poi su perché la Spagna paghi meno interessi dell'Italia sul debito, risponde che "potrebbe dipendere dall'annuncio di elezioni anticipate". E allora perché non fare lo stesso? "Ho detto così per dire", ha risposto sorridendo il ministro.
Ovvero si persevera nell'equivoco: Berlusconi, anche se lo volesse, non potrebbe indire elezioni anticipate senza il consenso di Napolitano. E secondo molti costituzionalisti il consenso del Presidente della Repubblica è subordinato al venir meno di una maggioranza in parlamento.