venerdì 28 gennaio 2011

In un paese normale si sarebbe già dimesso

Quante volte abbiamo letto la frase che dà il titolo a questo post? Ovviamente sapete già a cosa esso allude, ma lo scopo di quest'articolo è invece di mostrare l'errore concettuale che sta alla base di quell'affermazione.
È vero, tutti sappiamo che quando un politico, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Scandinavia, o in un qualsiasi paese che colpisca l'immaginario dell'Italiano che sogna di vivere in paesi ricchi e avanzati, viene beccato in comportamenti moralmente scandalosi, ancorché giuridicamente leciti, la sua carriera politica viene stroncata e nella quasi totalità dei casi si dimette dall'incarico che ricopre.
Il problema è che quest'automatismo (scandalo > dimissioni) è solo un'abbreviazione, che nasconde dei passaggi per noi Italiani necessari a capire il vero meccanismo e a capire la ragione per cui ciò non si verifica anche da noi.
Quando un politico anglosassone viene coinvolto in uno scandalo in realtà di per sé non accade un bel nulla. E non ne vengono chieste le dimissioni per quel motivo. S'innesca invece un meccanismo.
In primo luogo l'opinione pubblica è portata a credere a chi muove l'accusa. Da noi invece chi accusa (che sia un magistrato, un giornale o un partito avverso) è sospettato di muovere quelle accuse per partigianeria politica. Ciò incrina, in misura variabile a seconda dei casi, l'autorevolezza dell'accusa.
In secondo luogo all'estero la competizione politica è molto più serrata che da noi, dove gli schieramenti sono ancora molto ideologizzati, e dove la politica è uno scontro di trincea fra fazioni con visioni della società molto diverse fra loro. Pertanto uno scandalo all'estero muove il consenso quel tanto da determinare la certa sconfitta alle successive elezioni del politico in questione. La conseguenza di ciò è che il politico ne prende atto (da solo, o saranno i suoi danti causa a convincerlo).
Da noi le cose sono andate così nel caso di Piero Marrazzo: l'accusa era credibile, e le elezioni regionali, già sul filo del rasoio, rischiavano (come poi è accaduto) di finire male. Pertanto il PD ha fatto capire a Marrazzo che non solo non l'avrebbero ricandidato, ma che lo avrebbero pubblicamente scaricato se non si fosse dimesso da solo. E Marrazzo ha ubbidito. In realtà il meccanismo era chiarissimo per entrambe le parti che non c'è stato neanche bisogno di chiedere le dimissioni, e Marrazzo si è fatto da parte spontaneamente.
Il caso di Berlusconi è diverso. In primo luogo perché l'accusa non ha l'autorevolezza di cui sopra, ma soprattutto perché (vedi il secondo punto) gli Italiani mettono altre priorità prima della pulizia del politico, e -se del caso- lo rivotano turandosi il naso. Pertanto, se i sondaggi continuano a dare il consenso a Berlusconi, egli non ha nessuna ragione per dimettersi.