lunedì 30 settembre 2013

Ma di che stiamo parlando?

Facciamo un passo indietro. Estate 2011: sale lo spread, si teme che l'Italia debba svenarsi per pagare i tassi d'interessi sui titoli del debito pubblico. Si vuole che il paese riacquisti credibilità agli occhi dei creditori fugando in loro ogni dubbio si du un possibile default, affinché i tassi tornino ai livelli bassi di prima della crisi.

A tal fine viene chiesto che il pareggio di bilancio venga raggiunto nel 2013, cioè anticipando di un anno quanto previsto dalle manovre del governo Berlusconi. Il risanamento delle finanze pubbliche diventa l'imperativo nazionale. E pure urgente: il Sole24Ore titola "FATE PRESTO". Il paese, secondo questa narrativa, sarebbe "sull'orlo del baratro".



Arriva il governo Monti e i desideri vengono esauriti: una manovra fatta principalmente di nuove tasse viene chiamata "decreto salva italia". Una delle sue finalità è appunto quella di mettere i conti pubblici "in sicurezza" e di assicurare che il bilancio statale sia in pareggio nel 2013.

"Effetto Monti" - Oggi, nel 2013, il governo Letta va in crisi perché, non trovando le risorse a copertura, annullare il previsto (da Monti) aumento dell'IVA al 22% comporterebbe lo sforamento per l'anno in corso del limite del deficit annuale al 3%, e la conseguente procedura europea d'infrazione.

Ovvero: il governo Monti ci doveva lasciare in eredità i conti risanati e il pareggio in bilancio nel 2013; invece ci ritroviamo esattamente dove eravamo, con un deficit fra il 3% e il 3.1%. Nel frattempo i fondamentali del paese sono peggiorati: è diminuito il PIL, è aumentato il debito pubblico in percentuale ad esso. Ovvero, la capacità del paese di restituire il debito è diminuita rispetto al 2011.

A logica ciò dovrebbe far risalire lo spread, se non fosse che l'effetto spread è stato sterilizzato nel 2012 dalla BCE dalle due OMT prima e dalle dichiarazioni di Draghi sulla volontà di salvare l'Euro "whatever it takes". In Italia invece ci si chiede se la caduta del governo Letta faccia risalire lo spread, se la crisi voluta da Berlusconi danneggi la stabilità del paese, e se occorra comunque tenere un governo in carica ed evitare delle elezioni che ci dovrebbero condurre al baratro.

venerdì 27 settembre 2013

Su Alitalia - 2

In seguito ai commenti torno sull'argomento per chiarire.

Alitalia era un'impresa di proprietà statale che sino ad allora era stata malgestita, e che era da molti anni in perdita. Nel 2006 le perdite (e il divieto comunitario di ripianarle) avevano fatto sì che fosse necessario scegliere fra queste tre possibilità:
  1. che lo stato la lasciasse fallire
  2. che lo stato risananasse la società (senza ricorrere ad aiuti di stato, però)
  3. che lo stato la vendesse a un privato, e questi se ne facesse carico con piena libertà di azione
Si potrebbe argomentare che forse la via del fallimento sarebbe stata la meno peggiore, ma, senza a stare a dilungarsi su di essa, diciamo che era politicamente improponibile. Dunque la scartiamo e passiamo oltre.

In teoria si sarebbe potuto percorrere la via n.2, ma i fatti e l'esperienza lasciavano credere che sarebbe stato con ogni probabilità un insuccesso. Perché infatti, al di là dei buoni propositi dei politici, una gestione statale sarebbe dovuta riuscire laddove aveva fallito nei decenni precedenti?

Rimaneva la via della privatizzazione, che come detto implicava la conseguente possibilità del nuovo proprietario di fare scelte dolorose, le stesse che in teoria avrebbe dovuto fare, e non aveva mai fatto, la gestione statale. Attenzione però: anche per un privato non sarebbe stato facile compiere dette scelte, dato che gli interessati avrebbero reagito in ogni modo possibile, con pressioni, scioperi, manifestazioni, ricorsi e quant'altro il "sistema italia" metteva loro a disposizione.

In altre parole non è che una privatizzazione equivalga a dire "ragazzi, prima eravate statali, ora siete i miei dipendenti e si fa come dico io". Quello magari lo avete visto nei documentari sulla Thatcher, non certo in Italia.

La conseguenza era che l'opzione 3 era da intendersi:
che lo stato la vendesse a un privato, e questi se ne facesse carico con piena libertà di azione, e che lo stato agevolasse il privato nella fase di transizione
Quanto aggiunto in neretto, in una forma o in un'altra, avrebbe significato costi per lo stato. Quando si parla della privatizzazione di Alitalia bisogna prima chiarirsi le idee su quello.

Nel post precedente ho fatto notare che limitarsi a criticare i costi che la privatizzazione ha avuto per le casse statali e per l'economia del paese in generale non ha molto senso se non si quantificano tutti i costi, immediatamente visibili o meno. Cosa che chi critica, che sia un Rizzo che scrive i suoi articoli anticasta o che sia il tipico commentatore da sito web un-po'-grillino-di-sinistra, di solito non fa.

Allora, ho iniziato il post scrivendo che nel 2006 le perdite avevano raggiunto un punto critico. Ovviamente la storia di Alitalia non inizia nel 2006. Durante il quinquennio precedente il governo Berlusconi non fece niente per risolvere il problema. E prima ancora durante i governi di centrosinistra fu prima lanciata a poi fatta fallire la fusione con KLM, che, quella sì, avrebbe potuto essere una soluzione per Alitalia. Senza contare poi l'asta lunare fatta dal governo Prodi nel 2007 che andò deserta. Questo per dire che nel 2008 la compagnia era alla canna del gas e che fare una scelta in quella situazione di emergenza non era la cosa più facile di questo mondo: la trattativa con Air France (che, diciamolo, non a caso attese che Alitalia fosse sull'orlo del baratro per fare la sua offerta) durò circa tre mesi, mentre il progetto CAI fu improvvisato in poche settimane. In quelle circostanze fu già un risultato che la privatizzazione sia avvenuta. Infatti chi ha un po' di memoria leggeva un giorno sì e l'altro pure articoli e commenti che dubitavano dell'esistenza della cordata, che dicevano che si trattasse di una balla, che nessun acquirente italiano c'era. Invece le cose sono andate in maniera diversa. Così come finora si è rivelata sbagliata la previsione che i proprietari di Alitalia se ne sarebbero sbarazzati vendendo a AF non appena fosse scaduto il vincolo.

Quindi, per riassumere:

  • l'offerta AF non era il bengodi, ma fu fatta in extremis alle condizioni di un soggetto forte verso uno che è invece alla canna del gas: in altre parole un'offerta da strozzino
  • la maggiore colpa di ciò fu di chi lasciò che si arrivasse alla canna del gas, di chi si mise in condizioni di non avere più tempo per valutare altre possibili offerte: il governo Prodi
  • una minore colpa fu anche del precedente governo Berlusconi che non prevenì quello stato di cose
  • un'altra colpa fu del governo di centrosinistra che non fece la fusione con KLM: andate a guardarvi le condizioni e paragonatele con l'offerta di Air France e poi sì che vi indignerete

Infine una considerazione: Berlusconi viene ritenuto il responsabile del fallimento della trattativa con Air France. Che però formalmente si interruppe in seguito alla mancata approvazione della proposta da parte dei sindacati. Chi c'era fra quei sindacalisti? Epifani. Eppure in tutti questi anni non ho letto un articolo in cui venisse contestato all'attuale segretario del PD di aver contribuito a provocare il "danno" o di aver creduto alle promesse del caimano...

martedì 24 settembre 2013

Su Alitalia

Tornano le polemiche su Alitalia, che potrebbe vendere a Air France la maggioranza del capitale azionario.


Per giudicare quella vicenda occorre prima dire la verità su cosa fosse l'offerta di Air France (il testo viene da una pagina di Wikipedia che è stata in seguito rimossa):

The terms of the Air France-KLM Group of the March 28 draft agreement were (with a deadline of 31 March 2008):
  1. that the possible consequences of a lawsuit by the Milan Malpensa Airport owners, Sea, will be dealt with by the Italian government.
  2. that the current and next government support this proposal.
  3. that the unions agree to the dismissal of 1.620 employees of Alitalia Fly: 567 pilots, 594 flight assistants, 121 foreign employees and 398 ground employees.
  4. that Air France-KLM will employ only 3.200 of the 7.600 employees of Alitalia's maintenance subsidiary, Alitalia Servizi, if they can dismiss 500 of these employees.
  5. that Alitalia's bulk flight network will be based at Rome Leonardo da Vinci Fiumicino Airport and the international flights from Milan Malpensa Airport will be stopped.
  6. that the Italian government agrees to a capital injection of 300 million Euros in Alitalia to prevent the company of going broke; to be repaid from the raised capital after the takeover has been finalized.
  7. that the Italian government invests in the Rome Leonardo da Vinci Fiumicino Airport. that the Italian government guarantees the landing rights of Alitalia.
  8. that the relevant competition authorities authorize the proposal.
The fate of the rest (of a total of about 7600) of the employees of Alitalia's maintenance subsidiary, Alitalia Servizi, was uncertain.
The Board of Directors of Alitalia and the Italian government agreed to these terms; the unions did not. Raffaele Bonanni, the leader of one of Alitalia's main unions, CISL, denounced the agreement: "The government is delivering us naked to negotiate with Air France to the detriment of the workers, infrastructure, and the general interests of the country,". The union of the pilots, ANPAC, which has agreed to the takeover in principle, called the French-Dutch offer "unacceptable". ANPAC especially disagrees with the plan to end the freight service of Alitalia by 2010. The talks with the unions over the takeover by Air France-KLM collapsed when the French-Dutch carrier refused to accept
union demands hours before a deadline to win their support was to expire. As a consequence Alitalia's chairman, Maurizio Prato, resigned on April 2nd 2008.

Andiamo per ordine
  1. La SEA, la società che gestisce Malpensa, aveva fatto causa ad Alitalia, in quanto questa aveva tagliato dei voli bloccando allo stesso tempo gli slot (ovvero Maplensa si era ritrovata con dei "buchi" senza poterli riassegnare ad altre compagnie aeree. Air France pretendeva che lo stato italiano si facesse carico di questa causa (leggi: del risarcimento danni).
  2. Berlusconi dichiarò poi che il suo futuro governo avrebbe onorato l'accordo con Air France-KLM, qualora fosse stato concluso.
  3. L'offerta di Air France-KLM prevedeva il licenziamento di 7579 dipendenti in Italia (fra Alitalia e AZ Servizi) e di 121 all'estero.
  4. Prevedeva anche che il governo Prodi facesse un prestito ponte di 300 milioni di Euro
  5. Prevedeva che il governo italiano facesse degli investimenti nell'aeroporto di Fiumicino e che garantisse ad Alitalia tutti gli slot.
Chi critica la mancata accettazione dell'offerta di Air France-KLM tende a dimenticare i punti che ho elencato ai numeri 1, 3, 4 e 5. Quanto sarebbe costata all'erario in termini di risarcimento a SEA, ammortizzatori sociali, di prestito poi dichiarato illecito dall'UE di lavori a fondo perduto sullo scalo di Fiumicino l'offerta di Air France? Questo Sergio Rizzo non lo dice.

Ma soprattutto non dice che il fallimento dell'offerta di Air France fu dovuto al mancato accordo con i sindacati. Come appunto disse Bonanni:

"The government is delivering us naked to negotiate with Air France to the detriment of the workers, infrastructure, and the general interests of the country"
Ora addossare a Berlusconi le ragioni di una scelta presa in tutta autonomia dai sindacati (che non sono certo berlusconiani) appare quanto mai bizzarro.

Chi critica negli anni scorsi poi tendeva ad affermare con continuità che Air France si sarebbe comprata per pochi soldi quello per cui aveva offerto di più nel 2008. E veniva detto che ciò sarebbe avvenuto allo scadere dei tre anni dal 2008, quando i soci della nuova Alitalia sarebbero stati liberi di vendere. La storia li ha smentiti: finora non è avvenuto. Anzi è successo che in questi ultimi anni il gruppo Air France-KLM ha licenziato dei dipendenti. Fra essi non quelli di Alitalia.

Sergio Rizzo del Corriere della Sera, nella sua tirata antiberlusconiana, arriva fino al punto di scrivere che:

a sentire i giornali parigini, dovremmo perfino ringraziare la compagnia franco-olandese di prendersi questa rogna

Eh già, Air France comprerebbe Alitalia non già per farci degli utili, ma addirittura per spirito caritatevole.

Forse la verità è che Alitalia è in crisi, perché l'Italia e l'Europa sono in crisi. E forse verrà acquistata da uno straniero come vengono acquistate altre aziende italiane in questo periodo.

Lo stato italiano ci ha provato a privatizzarla. Sarebbe stato comunque un bagno di sangue per le finanze pubbliche. Ha scelto i migliori imprenditori che c'erano sulla piazza italiana. Se era meglio darla a una forte azienda straniera del settore, perché il governo Prodi cincischiò nel 2006-2007 con un'asta che conteneva delle condizioni capestro (in sostanza si chiedeva all'acquirente di continuare a gestirla in perdita come aveva fatto sino a quel momento lo stato italiano)? E perché negli anni novanta fu fatta fallire la fusione con KLM?

mercoledì 11 settembre 2013

Il ricalcolo

Non c'è segreto meglio custodito di una cosa alla luce del sole. Probabilmente la cosa più ridicola della sentenza sui diritti tv di Berlusconi è quella di cui non parla nessuno: la faccenda della pena accessoria. Chi legga la stampa italiana dal primo agosto in poi sa che la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Berlusconi, ma che ha rinviato gli atti alla Corte d'Appello, affinché questa faccia un nuovo processo ed emetta la relativa sentenza limitatamente alla pena accessoria.


I giornali (qui, per esempio) sintetizzano la cosa con l'espressione ricalcolo della pena accessoria. Solo che la parola "ricalcolo" è fuorviante. Anzi nella sostanza è un modo per disinformare il lettore, almeno quello che non conosca la legge penale.

Perché non è un problema di calcolo, non è un mero errore tecnico, non è una svista aritmetica marginale rispetto al merito della colpevolezza dell'imputato. No, è qualcosa d'inquietante.

Berlusconi è stato condannato per frode fiscale, un reato previsto dall'art.3 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74 - Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

La stessa legge all'art. 12 stabilisce le pene accessorie per detto reato. In particolare al comma 2 stabilisce quella dell'interdizione dai pubblici uffici:
La condanna (...) importa altresi' l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni (...)
La legge è breve e chiara: prevede e tipizza dei reati fiscali, ne stabilisce le pene, e qualche articolo più sotto quantifica le relative pene accessorie.

Non è un problema di calcolo e bilanciamento di circostanze aggravanti e attenuanti: l'interdizione non può essere "superiore a tre anni". Eppure in primo e secondo grado gliene hanno dati cinque!

Sapete perché?

Perché invece di applicare quell'art. 12 hanno applicato la previsione generica del codice penale in materia di pene accessorie (art. 29), che dice:
la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Solo che anche gli studenti di legge sanno che la norma speciale deroga a quella generale. Che è ciò che ha fatto notare la Cassazione.

Per semplificare il concetto agli estremi è come se i giudici avessero sì condannato Berlusconi per frode fiscale, ma "calcolando" (sic.!) la pena principale secondo l'art. 640 del codice penale, quello che punisce la frode in generale.

A questo punto è legittimo chiedersi come sia possibile che due diversi collegi formati da tre magistrati, di una certa esperienza, rispettivamente del tribunale e della corte d'appello più importante d'Italia, in un processo seguito dalla stampa di mezzo mondo, possano commettere un simile errore. Errore che determina ulteriori lungaggini, nonché spese processuali per lo stato e per gli imputati.

È legittimo chiedersi se quei magistrati abbiano dimestichezza con la legge tributaria, con la sua interpretazione e con il modo in cui è praticata (leggi: rispettata, elusa o frodata) nella vita di tutti i giorni.