lunedì 30 luglio 2012

Grillini di destra

Il sito web "Fermare il declino" è la (pre) discesa in campo di coloro che hanno individuato in Berlusconi e nel PDL la causa della mancata rivoluzione liberale: ci sono Mario Baldassarri e Benedetto della Vedova (FLI), ci sono Oscar Giannino e Michele Boldrin (qui in TV magnificava la Spagna, ma era prima della crisi di oggi) che hanno spinto per il governo Monti e oggi se ne dicono delusi, ci sono quelli di Libertiamo e dell'Istituto Bruno Leoni, ci sono Andrea Romano e Irene Tinagli di ItaliaFutura.

Hanno fatto dieci proposte alle quali ho dato una scorsa veloce. Dieci wishful thinking che però peccano di un vizio alla base: se tutto ciò non è stato fatto occorre che si facciano una ragione del fatto che sono obiettivi estremamente difficili da raggiungere in un paese in crisi, arroccato in corporazioni, con alta spesa pubblica e numerosi clientes di essa (spesso ideologizzati, cosa non da poco) e per di più in via di invecchiamento demografico.

Buona fortuna al neonato movimento e a quel che ne verrà. Ne avrà bisogno. Un appunto però: fare un programma di wishful thinking è cosa facile. Lo fa già Grillo coi suoi wishful thinking di sinistra. Ora lo fanno anche i liberali. Solo che la realtà è un attimino più complessa.

Prendiamo ad esempio il punto 4 del loro manifesto:
Privatizzare la RAI, abolire canone e tetto pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su cui il settore si regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.
Privatizzare la RAI: a chi? Chi è il pazzo disposto a sobbarcarsi l'onere della gestione di un carrozzone di stato? Facciamo come Alitalia? Bad and good company? Beninteso la bad company resterà a carico di Pantalone. Mediaset ha circa la metà dei dipendenti della RAI: la ristrutturazione dell'ex TV pubblica (cinquemila posti di lavoro in meno) avrà i suoi costi sociali. E la caccia alla pubblicità (vedasi "abolizione del tetto pubblicitario) avrà conseguenze negative sui bilanci delle altre emittenti private e forse sui posti di lavoro.

Abolire il canone e il tetto pubblicitario. Quello è sì fattibile: la nuova RAI privata diventerà una TV commerciale e vivrà di pubblicità. Solo che l'ultima frase vorrebbe "affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti". E qui sorge un primo problema: se vogliamo che una TV commerciale faccia servizio pubblico occorre che la remunerazione sia maggiore che fare programmi commerciali. E allora lo stato dovrà indire dei bandi in cui l'aggiudicatario verrà ben remunerato. Già, ma con quali soldi? Il canone sarà abolito, quindi quel centinaio di euro l'anno che ogni famiglia paga dovrà essere sostituito da qualche altro tributo o aumento di quelli esistenti. Insomma: il canone esce dalla porta, ma rientra dalla finestra. Ma questo sul manifesto dei liberali non ce lo trovate.

giovedì 26 luglio 2012

La "balla" che l'Euro avrebbe fatto calare i tassi d'interesse

Chi difende la necessità dell'Euro spesso usa l'argomento del tasso d'interesse: che era alto al tempo della Lira e che l'adesione alla moneta unica ha permesso di abbassare a livelli tedeschi, o quasi. Ho messo nel titolo la parola balla fra virgolette perché la questione è più complessa: nell'affermazione c'è del vero, ma c'è anche del falso. Da un lato è vero che il passare da una valuta storicamente debole, soggetta a un continuo deprezzamento, inflazione e alti tassi d'interesse, ad una forte ha tolto all'Italia gli appena citati effetti derivanti dall'avere una valuta debole.

Tuttavia il tasso d'interesse in Italia stava già calando ben prima che si sapesse che ci sarebbe stato l'Unione Monetaria Europea e che l'Italia ne avrebbe fatto parte. Nella figura qui sotto si vede l'evoluzione del tasso d'interesse: è una linea in calo dal 1983-84.



Si obietterà che il calo non è continuo. Facciamo un passo indietro e riassumiamo in poche parole la storia monetaria recente dell'Italia. Che aveva negli anni settanta la Banca d'Italia che finanziava gli enormi deficit di bilancio dello stato comprandone i titoli e causando inflazione e svalutazione. Nel 1979 l'Italia aderisce al Sistema Monetario Europeo, che comporta che la Lira non oscilli (ovvero non si svaluti) più di tanto rispetto alle altre valute che ne facevano parte. Conseguenza: la Banca d'Italia (aiutata dalle altre banche centrali dell'area SME) non può più stampare moneta a piacimento per coprire i buchi di bilancio dei governi, dato che ciò provocherebbe inflazione, che a sua volta causerebbe la svalutazione della Lira. Deve invece attuare una politica più rigorosa. Detto cambio viene ufficializzato nel 1981 da Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro.

Poco dopo cominciano a vedersi gli effetti di questa nuova politica monetaria e il tasso d'interesse comincia a scendere. Riguardo allo SME va detto che all'inizio all'Italia fu concessa una banda di oscillazione del 6%. Poi progressivamente negli anni ottanta l'Italia adattò la propria politica monetaria per poter difendere una banda del solo 2.25%. La banda stretta fu ufficializzata all'inizio del 1990. Nel riquadro in arancione si vede infatti come il dover difendere una parità più stretta abbia causato un temporaneo rialzo dei tassi d'interesse. La banda stretta terminò nel 1992, allorché l'Italia ne concordò una amplissima del 15%.

Per cui, se togliamo la parentesi della banda stretta, vediamo come la discesa del tasso d'interesse è una linea continua dal 1983-84 fino al 1999, anno in cui inizia la parità pre-euro a 990 Lire per un Marco.

Eppure il trattato di Maastricht è del 1992, la fissazione del tasso di cambio finale della Lira è del novembre 1996, la conferma ufficiosa della partecipazione italiana all'Unione Monetaria è dei due anni seguenti: tutti fatti successivi all'inizio del calo dei tassi, che avviene all'incirca dieci anni prima per i motivi sopra esposti.

mercoledì 25 luglio 2012

"Il punto di non ritorno"?

“Nel ’93 ebbi un incontro con Kohl. Un vertice diretto, senza impedimenti protocollari, tra due uomini che avevano conosciuto la tragedia delle guerre. Mi chiese cosa pensassi dell’Europa e della moneta unica. Non risposi da ex banchiere centrale. Gli dissi semplicemente che l’euro avrebbe creato il punto di non ritorno, avrebbe avviato la stagione dell’Europa veramente unita, senza più conflitti, senza più lutti. Se non lo facciamo noi, aggiunsi, rischiamo un ritorno indietro, un contraccolpo della storia che sarebbe terribile, un nuovo alibi per il rinascere dei nazionalismi, di quegli spettri degli anni ’30 che né io né lei vogliamo riportare in vita. Dopo questo colloquio uscì di scena definitivamente l’idea di rinviare l’adesione ai parametri di Maastricht. Nessun rinvio; l’euro non poteva aspettare (Carlo Azeglio Ciampi, Non è il paese che sognavo, Il Saggiatore, 2010, p.112)
Poi viene da chiedersi alla luce delle attuali tensioni fra Germania e stati del "Club Med" se a fare l'Euro invece si sia proprio ricreato quei conflitti che invece nei quarant'anni precedenti non si erano verificati.


Sarà la storia a dire se questo punto di non ritorno segnerà la nascita di una federazione europea o invece l'inizio di un progressivo sfaldamento.

Sarà la storia a dire se personaggi come Ciampi sono stati degli statisti lungimiranti o dei pasticcioni dilettanti, pur in buona fede.

martedì 24 luglio 2012

Un esempio di Casta


 
Hasta la victoria, siempre

Ma secondo voi chi lo paga l'Erasmus in Guatemala a Ingroia?

venerdì 20 luglio 2012

Un eccellente articolo

Scritto da Franco Bechis, vicedirettore di Libero, per il sito Il Sussidiario. Da leggere nella sua interezza, ne cito i passi per me più significativi, che coincidono con la mia visione delle cose politiche. Solo che Bechis, a differenza del sottoscritto, sa scrivere con stile.

Sulla legge elettorale e sulla balla della più grande maggioranza della storia repubblicana:
Abbiamo una legge elettorale che offre un premio di maggioranza sempre identico a chi vince di un voto come a chi vince per un milione di voti. Non c'e mai stata "la maggioranza più vasta della storia", citata da Vittadini a proposito del 2008: i rapporti di forza alla Camera erano all’epoca identici a quelli che nel 2006 ebbe Romano Prodi, e proprio alla Camera Berlusconi a novembre ha perso la sua maggioranza.
 Su Berlusconi e il suo bilancio dopo tutti questi anni in politica:
Credo che a molti altri non piaccia il ritorno di Berlusconi: troppi errori compiuti, troppe delusioni anche cocenti, è vero. Credo che il Cavaliere fin dall’inizio non abbia usato grandi finzioni: scelse la politica per difendere la libertà sua e delle sue aziende. Talvolta è coincisa con la libertà degli italiani, per lungo periodo non è stato così. Ha colpe evidenti.
Sul PDL, Alfano e Fini:
Per nove mesi Berlusconi è quasi scomparso. In nove mesi nasce un bambino. Non ho visto nascere altre leadership politiche: la realtà è questa. Forse sarebbe stato possibile, ma non è avvenuto: come scriveva Manzoni per don Abbondio, se uno il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare. (...) Quando dissenso c'è stato nel centrodestra, è accaduto per questioni di potere personale, non su grandi temi. Non sono circolate idee e senza idee non nasce una classe dirigente.
Sull'attuale situazione politica e quello che ci aspetta alle prossime elezioni:
Possiamo dire che ci fa tutto schifo, ma la realtà della politica è questa: il prossimo anno si voterà per Bersani o Berlusconi (magari non si candida lui, ma sarà in campo) a palazzo Chigi. Bisognerà scegliere tra il modello di uno e quello dell'altro. Non c'è più tempo per altre ipotesi. La credibilità dell'uno o quella dell'altro. Gli errori di uno o quelli dell'altro. La realtà è questa, e di fronte a questa realtà bisogna porsi.
Sul futuro che ci attende dopo le elezioni:
La storia d'Italia racconta un Paese che è sempre stato bipolare per due terzi (Dc-Pci, Berlusconi-Progressisti) e non vedo una particolare evoluzione in questo. Non abbiamo mai avuto un partito in grado di vincere le elezioni, e maggioritario o proporzionale cambia poco: sono determinanti piccole formazioni politiche che hanno sempre bloccato e condizionato l' attività dei governi. Non è gran democrazia, ma finora l'antidoto non è stato trovato. L'unica soluzione è fare circolare idee: ce ne sono tante in giro, ed è sempre stata la forza di questo Paese. Le idee prima o poi trovano le gambe su cui camminare. 

lunedì 9 luglio 2012

Che cos'è l'Euro

Il dibattito Euro SÌ - Euro NO è inquinato da da una coltre di fumo: ovvero che taluni che ne dibattono non hanno ben chiaro che cosa l'Euro sia.



Occorre dunque semplificare il concetto, andando al nocciolo della questione, pur tralasciando altri fatti importanti. Vado brutalmente al sodo:
L'Euro è un peg della Lira a quota 990 sul Marco.
È una mera parità monetaria, un peg (un "aggancio", il termine tecnico inglese per descrivere ciò). È un cambio fisso. Reso tale da un meccanismo che impedisce alle forze del mercato di svalutare o rivalutare la Lira (1).

Dunque da un lato c'è il nucleo dell'Euro (il peg), dall'altro il meccanismo di supporto, che nel caso specifico è un insieme di cose: la Banca Centrale Europea, l'Eurosistema, le banconote uniche, il trattato che istituisce tutto ciò e la volontà dell'Italia di mantenere non solo il peg, ma anche l'insieme dei trattati europei di cui il peg è parte integrante.

Metaforicamente parlando, se un semplice peg è come una porta chiusa a chiave, l'Euro è una porta chiusa a doppia, tripla o quadrupla mandata. E in più rivestita di un pannello in cartongesso che la copre. Ma pur sempre di porta chiusa a chiave si tratta.

È importante tenere presente questa definizione per quando tornerò sull'argomento. 

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(1) Ovviamente queste definizioni vanno moltiplicate per 17, che è attualmente il numero dei paesi che fanno parte dell'Euro.