mercoledì 31 agosto 2011

Dov'è la festa? E cosa si festeggia?

Una discussione sorta sulla questione dell'accorpamento delle feste civili (si veda qui e qui ) mi ha indotto a scrivere quanto segue, al fine di chiarire una volta per tutte il mio pensiero:

Se tu dici a qualcuno che è fascista o nazista, evidentemente lo stai insultando, dato che attribuisci alla sua persona, alle sue idee, ciò che la nostra società considera comunemente fra i peggiori disvalori umani. Eppure questi epiteti originariamente non erano insulti: se uno li avesse rivolti negli anni trenta sarebbe stato come dire oggi leghista o socialdemocratico, per dire.

Allo stesso modo c'è un significato originario del 25 Aprile, che è la vittoria militare degli Americani sui Tedeschi con ciò che ne conseguì: la pace, il cambio di regime (da una dittatura social-nazionalista a una democrazia occidentale) e il passaggio dalla sfera d'influenza tedesca (nazista) a quella americana. E c'è un significato d'uso comune, che ha trasformato quanto sopra nella celebrazione della resistenza rossa contro, non solo il fascismo, ma ciò che in seguito si è ad essa e alle sue aspirazioni frapposto, impedendo la presa del potere ai partiti espressione della stessa ideologia: il MSI, la DC, i partiti laici, poi i Radicali, poi il PSI di Craxi, fino a Berlusconi oggi. Al punto che andare a celebrare il 25 Aprile in un cimitero di soldati americani (gli USA in effetti fanno parte della suddetta lista) è considerata una provocazione.

Chiedere l'abolizione del 25 Aprile significa quindi, non tanto chiedere l'abolizione della ricorrenza che celebra la fine della guerra e il ritorno dell'Italia nell'occidente, nonché il sacrificio di soldati e partigiani che persero la vita per darci la libertà, ma significa smettere di celebrare una supposta guerra di popolo che negli auspici delle sue supposte avanguardie avrebbe dovuto determinare il passaggio dell'Italia, non "a occidente" ma "a oriente". E significa smettere di celebrare il rancore che è derivato dalla vanificazione di quegli obiettivi.

Detto questo, smettiamo anche una volta per tutte di dire che prima era una festa condivisa, e che è stato Berlusconi, sdoganando AN, a rompere le uova nel paniere: anche quello è un basso tentativo dialettico di legittimare una celebrazione che, per quel che è divenuta, non sta in piedi.

È sufficiente citare un passo dell'odiato Giampaolo Pansa, tratta dal libro La Grande Bugia a pagina 102:
«La sconfitta del Fronte nelle elezioni del 18 aprile aveva esasperato i partigiani comunisti. Sette giorni dopo il voto, ossia il 25 aprile 1948, accadde l'impensabile. A Milano si stava celebrando la liberazione. Tra gli oratori c'era Parri, accanto a Luigi Longo. I comunisti cominciarono a fischiarlo, per impedirgli di parlare. Allora Parri interruppe il discorso e scese dal palco. Lo riprese poi, e soltanto per le insistenze di Longo.»
Capito? Il 25 Aprile 1948 (e non 1994) fu impedito di parlare persino a Ferruccio Parri, antifascista, partigiano, nonché capo del primo governo dopo la liberazione, e non certo uomo di sdoganamenti o revisionismi.

Ecco, credo che queste mie parole bastino a spiegare perché la maggioranza degli Italiani non si riconosce nelle celebrazioni, di cui legge e vede i resoconti su giornali e tv, che hanno egemonizzato il 25 Aprile al punto da esserne divenute a pieno titolo l'essenza stessa. Se essa non è la festa di tutti gli Italiani, è legittimo chiederne l'abolizione.

lunedì 29 agosto 2011

L'Unità: sciocchezze estive

Non perdetevi il dossier i 10 anni di Berlusconi che hanno causato il declino di Michele Prospero (e altri geni dell'economia) pubblicato dall'Unità.
Già il titolo indica un supposto rapporto di causa ed effetto fra il declino e chi ha governato. Solo che Prospero & co. si limitano ad affermarlo senza dimostrarlo. Direte: ma se in un paese le cose vanno male è chi lo governa a doverne rispondere. Vero. Ma chi governa l'Italia? La risposta giusta è "l'insieme delle leggi vigenti". Continuiamo a leggere il dossier dell'Unità e capirete dove voglio arrivare.
Prospero scrive:
Di politiche economiche ed industriali neanche l’ombra.
Ma da che mondo viene?  Lo sa il Sig. Prospero che in un paese a libero capitalismo non è compito dello stato fare politiche industriali? Che per quello ci sono i privati imprenditori? Peggio ancora fa quando evoca la:
pretesa di prospettare un capitalismo che si autogoverna con imprenditori saliti al potere e fa a meno della mediazione politica
Dove per mediazione politica forse inconsciamente intende le mazzette a Penati e il sistema delle coop...
Andiamo avanti: in un articolo del dossier è un tale Ronny Mazzocchi (è lui?) a sostenere l'accusa nei dettagli. Egli dice che in Italia ci sarebbe bisogno di:
una ristrutturazione non solo della struttura produttiva, ma anche dei modelli organizzativi e manageriali
E chi dovrebbe ristrutturare caro Mazzocchi se non le imprese stesse? Mica è compito dei politici dettare alle imprese strutture produttive e modelli organizzativi e manageriali. Almeno non in una società libera.
Altra perla:
Si è fatta così largo la concezione semplicistica per cui la crescita economica si sarebbe ottenuta se tutti avessero prodotto di più
Sì caro Mazzocchi: se la produttività (la produttività e non la produzione) cresce, cresce il paese. Poi aggiunge:
La crescita di una economia, infatti, dipende dalla nascita di nuove imprese, dall’aumento della dimensione di quelle già esistenti e dal progresso tecnologico.
Quest'affermazione può essere condivisibile: sono tre fattori che possono determinare crescita. Mazzocchi dice che in Italia le cose vanno male perché le aziende non crescono e non fanno ricerca. E addossa la responsabilità a un supposto modello "piccolo è bello" voluto dal governo Berlusconi.

A parte il fatto che quel modello è parto della sua fantasia (di Mazzocchi), la realtà è che le imprese non crescono, perché il diritto del lavoro le scoraggia a farlo, dato che se un'impresa ha più di 15 dipendenti perde il diritto di licenziare i collaboratori. Poi inizia a trovarsi i sindacati in azienda. E perché il costo del lavoro è alto. E viene negoziato a livello nazionale. E le imposte sulle società e il livello delle imposte in generale deprime il settore privato. E perché la burocrazia è un ostacolo.

È ovvio che in un contesto del genere ci sono potenziali imprenditori che preferiscono investire nel mattone invece che creare ricchezza. È ovvio che chi cerca di stare sul mercato ricorre a precari. È ovvio, ma non lo è a Mazzocchi.

Passiamo ora ad un altro articolo dell'Unità. Ecco il titolo (non ridete):
Sondaggi: il Pdl crolla superato dal Pd al 25%
Non so se avete notato: l'Unità canta vittoria perché il PD è al 25%. Alle elezioni del 2008 (perse) prese il 33%, a quelle del 2006 (quasi perse) la lista L'Ulivo (precursore del PD) prese il 31% e altrettanto presero DS e Margherita a quelle del 2001 (perse).

Ovviamente il calo dei consensi del PDL è dovuto alla crisi economica, dalle misure impopolari in discussione in questi giorni e soprattutto dall'aumento delle tasse. Ma il problema è che quei consensi non stanno andando al PD. Vanno in astensione o al terzo polo. Che per ora pare non abbia nessuna intenzione di allearsi col centro-sinistra. E che se rimarrà "terzo" polo alle prossime elezioni, o darà agli elettori l'impressione di poter vincere oppure verrà cannibalizzato, soprattutto dal centro-destra.  E ai giornalisti e ai lettori dell'Unità resterà il ricordo di un paio di colpi di sole presi nel mese di agosto 2011.

giovedì 25 agosto 2011

Dimezzare i parlamentari? No, meglio abolire il Senato

Ci sarebbe una riforma talmente semplice, talmente razionale, talmente ovvia, talmente “a costo zero”, talmente benefica, che non la propone nessuno: l’abolizione del Senato.

Per queste ragioni:
  • è un inutile doppione della Camera; rallenta il processo legislativo costringendo il governo a ricorrere sistematicamente alla decretazione d’urgenza,
  • non è rappresentativo di tutta la popolazione, ma solo di chi ha più di 25 anni,
  • attualmente il 2.5% dei suoi componenti (otto senatori a vita), una percentuale che in caso di esito elettorale sul filo di lana può ribaltare la maggioranza, non è eletto dal popolo. E detta percentuale può addirittura aumentare fino a 14 (il 4.4% dei componenti): Napolitano non ha ancora nominato nessuno, ed egli stesso, se non rieletto nel 2013 si aggiungerà alla lista di quelli in carica,
  • in virtù di un articolo della Costituzione (“il Senato è eletto su base regionale”) abbiamo una legge elettorale che ogni volta rischia di non dare una maggioranza certa al Senato. Abolendolo, l’attuale legge elettorale diverrebbe niente male,
  • con una legge elettorale maggioritaria, qualsiasi essa sia, vi è il rischio che il popolo elegga in ciascuna camera maggioranze di colore diverso.
Abolire il Senato ridurrebbe i costi non della metà, ma di un terzo. Mi accontento. In fondo abbiamo un deputato ogni 90 mila cittadini e un senatore ogni 180 mila. Riducendo della metà avremmo un deputato ogni 180 mila e un senatore ogni 360 mila.

Invece si vagheggia di un “senato delle regioni”, come se in Italia avessimo il problema di dare alla Valle d’Aosta lo stesso peso rappresentativo della Lombardia...

Si obietterà che la doppia lettura delle proposte di legge è una forma di garanzia. Vero, ma è anche una forma di deresponsabilizzazione di ciascuna camera. E che ha la nefasta conseguenza che, per evitare le lungaggini dell'iter normale, ogni legge importante viene dapprima adottata dal governo mediante un decreto, e successivamente dal parlamento mediante un voto di fiducia.

Si obietterà anche che salterebbe la rigidità della Costituzione ex art. 138. Per mantenerla si potrebbe ipotizzare due soluzioni:
  • Soluzione rigidissima: che ogni modifica della carta sia approvata dalla Camera e da alcuni consigli regionali
  • Soluzione meno rigida: che ogni modifica della carta sia approvata dalla Camera a maggioranza assoluta in due successive votazioni in due legislature consecutive, affinché fra la prima e la seconda votazione intervenga il vaglio degli elettori.
Si obietterà che è giusto che ogni ex presidente della repubblica sia un senatore a vita affinché goda dello status e delle tutele dei parlamentari. Basta mettere in costituzione che ogni ex presidente gode delle stesse immunità dei deputati (o addirittura di immunità maggiori), ma non del seggio.

Semplice, no?

venerdì 12 agosto 2011

Almeno un po' di trasparenza

Qualunque sia il contenuto della manovra che verrà approvata, sarà Berlusconi a (ri)metterci la faccia. Anche se alla fine verrà deciso di alzare le tasse per non tagliare le pensioni. Se questa sarà la scelta, sarebbe opportuno che a metterci la faccia fosse anche Bossi. E che quindi Alfano Berlusconi vada in televisione e dica: "avremmo voluto tagliare le pensioni invece di alzare le tasse, ma la Lega Nord non ce lo ha consentito". E magari, nei prossimi mesi, si ricordi di aggiungere che le quote latte, i ministeri a Monza, il no all'accorpamento di comuni e provincie sono tutte imposizioni della Lega Nord.
Se elezioni anticipate hanno da essere, almeno che la gente possa conoscere per deliberare.

mercoledì 10 agosto 2011

Se un paese non ha coraggio, neanche un tecnico glielo può dare

In un articolo intitolato Cosa fare e cosa non fare Michele Boldrin, professore di economia, nonché forte critico (per usare un eufemismo) di Berlusconi e Tremonti, propone un governo tecnico che gestisca l'emergenza finanziaria venutasi a creare negli ultimi giorni facendo quelle riforme che ogni governo "politico" rimanda da lustri a tempi migliori.

Al di là delle ben note considerazioni sulla democraticità dei governi "tecnici", sul fatto che essi devono comunque poggiare su di una maggioranza politica (e quindi in tacito accordo con essa fanno le loro proposte), e sul fatto che le precedenti esperienze (governi Ciampi e Dini) non promettono nulla di buono, un semplice appunto lo si può fare: Boldrin auspica che il governo tecnico faccia riforme sensate, quale una

Riforma pensionistica immediata che porti, nell'arco di 15 anni, il rapporto spesa pensionistica su PIL al 10%. Le misure le sappiamo tutti e consistono, fondamentalmente, nell'innalzamento uniforme e progressivo dell'età di pensione, nella restrizione delle invalidità e nel passaggio immediato di TUTTI al regime della riforma Dini.
Ottimo proposito. Ma siamo sicuri che ciò non sia stato fino ad ora fatto perché al governo ci sono Berlusconi e Tremonti, e che invece un governo tecnico riuscirebbe a farlo?

Ecco, per farla breve, credo che uno screenshot appena preso dal sito web del Corriere della Sera valga più di mille mie parole:



Draghi, Monti, Giavazzi, Alesina, Boeri e pure Boldrin saranno anche bravissimi, ma dubito che abbiano la forza di imporre al paese ciò che il paese ha sinora mostrato di non volere inducendo i suoi politici a comportarsi di conseguenza.