venerdì 26 novembre 2010

Fischi per fiaschi

A che serve un'opposizione? Risposta: oltre a rendere un paese più democratico, serve a stimolare la maggioranza a fare meglio, mediante iniziative, controproposte, emendamenti, critiche (nel merito), etc. L'idea è che chi sta all'opposizione si sforzi di presentarsi come migliore, come un passo avanti rispetto a chi governa.
Nel Coglionistan invece l'opposizione viene fatta denigrando la maggioranza. Nella speranza che, denigrala oggi e denigrala domani, il suo consenso cali, e chissà che poi sarà l'opposizione a prenderne il posto.

Un paio di esempi d'attualità

Il governo annuncia il piano per il sud. Berlusconi chiosa: «Il governo ha praticamente in poco tempo realizzato tutto quanto garantito di fronte al Parlamento». Ovvero: noi governo ci eravamo impegnati a studiare, redigere e presentare al Parlamento dei disegni di legge, ora lo abbiamo fatto.
Risposta di Bersani: «Se Berlusconi ha fatto i cinque punti può andarsene a casa contento e tranquillo».
Che c'entra? E perché in seguito alla presentazione dei disegni di legge, che sono il primo passo ufficiale di una politica (a cui deve seguire l'approvazione da parte del parlamento, l'eventuale attuazione da parte del governo e degli enti locali, l'implementazione e la verifica dei risultati raggiunti) il governo dovrebbe andare a casa, suppostamente per farsi giudicare dagli elettori prima che detto piano venga concretamente messo in atto e possa dunque essere giudicato?

Il ministro Gelmini aveva criticato Bersani, poiché questi era salito sul tetto di un edificio occupato dagli studenti che protestano contro la riforma dell'università. La Gelmini ha detto: «Non si capisce se in veste di segretario precario del Pd, piuttosto che di studente ripetente», laddove ripetente è un riferimento a quegli studenti universitari che passano il loro tempo più a fare politica (per esempio salendo sui tetti o occupando le facoltà) piuttosto che studiando e passando gli esami.
Risposta di Bersani: «Pubblicherò su Internet tutti i voti di tutti i miei esami del mio corso di laurea. Mi aspetto che il ministro faccia altrettanto, completo di "giro turistico" a Reggio Calabria».
Bravo. Ma che c'entra coll'assecondare gli studenti che scambiano l'università per un luogo di lotta politica invece che un luogo dove si fa un corso di studi?

Rimboccarsi le maniche o attendere incrociando le braccia?

La conseguenza di tutto ciò è che non si genera un circolo virtuoso in cui ciascuna parte cerca di fare meglio dell'altra, ma piiuttosto un circolo vizioso nel quale ciascuna parte cerca di dimostrare che l'altra è peggiore. È di tutta evidenza che così facendo che sta all'opposizione, invece di prepararsi a governare meglio di ch ilo fa oggi, si limita ad attendere che chi governa abbia logorato la propria immagine per prenderne il posto. Ma il risultato sarà che poi le verrà riservato il medesimo trattamento, e alla fin della fiera è il paese a farne le spese.

giovedì 25 novembre 2010

Dove trovare il Panem

  1. Come già avevo scritto in precedenza,le opposizioni stanno trattando con i finiani per un ribaltone il cui scopo sarà di tornare alla proporzionale.
  2. Dato però che un governo non può campare di soli circenses, qualora il ribaltone veda davvero la luce, si porrà il problema di dove trovare il panem. Vista la composizione dell'ipotetica maggioranza e del blocco sociale che la dovrebbe sostenere, e visto il difficile momento economico e finanziario, il mio timore è che veda la luce quanto già proposto dalla Serracchiani, da Fini, nonché quanto già attuato negli anni ottanta dai padri politici di Casini (i governi di pentapartito che nel 1986 introdussero l'imposta del 6.25% e che nel 1987 l'alzarono al 12.5%): l'aumento dell'imposta sui redditi da capitale.
Adesso mettete assieme i punti 1 e 2, e guardare il video dell'ultima puntata di Ballarò andando direttamente a 1:59:00. È il momento in cui Rosy Bindi in un solo minuto dice:
  1. che il PD è disposto ad andare alle elezioni sia con un'alleanza di sinistra che con una estesa al centro (traduzione dal Politichese all'Italiano: sono disposti sia a tenersi l'attuale legge elettorale, sia a votare il ritorno alla porporzionale),
  2. che il PD scenderà presto in piazza per pubblicizzare la proposta di aumento dell'imposta sui redditi da capitale.

giovedì 4 novembre 2010

Prove tecniche di ribaltone: ecco la nuova legge elettorale

Allora, dopo che per mesi chi voleva cambiare la legge elettorale sapeva cosa non voleva ma non cosa voleva, pare che i futuri potenziali ribaltonisti stiano cercando di mettersi d'accordo sul tema. Vediamo, secondo la ricostruzione di Federico Geremicca su La Stampa, di cosa si tratterebbe:
Cominciamo dalla Camera. La quota più consistente di seggi (si limano i dettagli: diciamo tra il 55 e il 60% del totale) verrebbe assegnata in collegi uninominali col sistema del doppio turno. Verrebbe eletto subito alla Camera chi ottenesse la metà più uno dei voti validi espressi.
Al secondo turno, invece, ci arriverebbero tutti i candidati che al primo avessero superato il 10 per cento dei consensi: è in questa fase che diverrebbe obbligatoria l’indicazione del candidato-premier per il quale si è in campo. Una seconda quota di seggi (tra il 35 e il 40% del totale) verrebbe assegnata con metodo proporzionale nelle circoscrizioni elettorali ai partiti che avessero superato la soglia di sbarramento, fissata al 5 per cento.

Il restante (cioè il 5% del totale dei seggi) verrebbe assegnato, sempre nelle circoscrizioni elettorali, come diritto di tribuna, ai partiti rimasti al di sotto della soglia del 5 per cento dei voti. Sospesa, per il momento, la scelta per quel che riguarda il sistema da adottare per il Senato. L’incertezza è legata a quanto del pacchetto di riforme possibili contenute nella cosiddetta bozza Violante (due risoluzioni che vi fanno riferimento sono state già votate quasi all’unanimità al Senato) riuscirà a vedere la luce.
Se, per esempio, si raggiungesse un’intesa anche sulla fine del bicameralismo perfetto, attribuendo al Senato la funzione di Senato delle Regioni (non titolato, dunque, a votare la fiducia al governo) l’assemblea di palazzo Madama verrebbe eletta con sistema interamente proporzionale.
Vediamo di fare un po' di ordine, ed esaminiamo le novità rilevanti punto per punto:

Fine del bipolarismo

Si tratta dunque di un ritorno alla proporzionale, e del conseguente abbandono del bipolarismo. Ciò in barba alla lunga battaglia referendaria di Segni e Pannella, proseguita poi da Guzzetta. Infatti se il 40-45% dei seggi è attribuita in maniera proporzionale, ciò rende inefficace la parte maggioritaria. Nessuno schieramento annunciato prima delle elezioni potrà contare sui numeri per governare, ma dovrà ulteriormente trattare in parlamento.

Doppio turno

Il costo delle elezioni raddoppia, così come raddoppia lo sfinimento degli elettori, chiamati a recarsi ai seggi due volte invece di una. Aumentano i costi delle campagne elettorali, e conseguentemente i finanziamenti pubblici ai partiti.

Mercato delle vacche

Se nella parte maggioritaria passano al secondo turno tutti quelli che prendono almeno il 10% dei voti, è facilmente prevedibile che in determinati casi inizieranno delle trattative fra i partiti per accordarsi su varie desistenze.

Voto di preferenza

L'articolo citato menziona espressamente "il ritorno delle preferenze". Che vigerebbe nel 40-45% eletto con il sistema proporzionale. Anche qui verrebbe cancellata la battaglia referendaria, il cui scopo era appunto quello di impedire la lotta fra candidati dello stesso partito, la conseguente esplosione delle spese di propaganda e il controllo dell'elettorato mediante il voto di scambio.

Sbarramento al 5% e diritto di tribuna

Se da un lato viene innalzata la soglia minima dei voti per accedere alla ripartizione dei seggi attribuiti nella parte proporzionale, e ciò potrebbe avere un qualche effetto positivo per consolidare le maggioranze e le coalizioni, dall'altro la quota proporzionale viene scomposta in due parti, con una trentina di seggi ripartiti fra le liste che non raggiungono il quorum. Questa disposizione, oltre a contraddire lo spirito di quella precedente, dato che favorirà il proliferare di liste aventi il solo scopo di eleggere un parlamentare, potrebbe avere la spiacevole conseguenza di dare a quei trenta parlamentari, non solo il diritto di tribuna, ma anche il potere di essere determinanti per la sopravvivenza o meno di un governo. Un po' come avviene oggi con i finiani, che sono appunto una trentina.
Non mi stupirei se spuntassero delle liste civetta aventi il solo scopo di prendere quei seggi.

Indicazione del premier

Quella rimarrebbe, nonostante sia già oggi una norma in contrasto (logico, non giuridico) con l'impianto della costituzione (oggi Berlusconi vi si appiglia per contrastare l'eventualità di un ribaltone). La riproporzionalizzazione del sistema la svuoterebbe di ogni ragione di essere. Infatti nessun partito potrebbe affermare di avere vinto le elezioni (*), ma avremmo sei-sette partiti (se non di più) con altrettanti candidati premier e la patata bollente nelle mani del presidente della repubblica.

(*) in realtà tutti affermerebbero di averle vinte per una ragione o un'altra. Ma sicuramente nessun avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi, difficilmente ce l'avrebbe una coalizione formatasi prima del voto, e probabilmente la poltrona del premier sarebbe un argomento di trattativa come nella prima repubblica.

Riforma costituzionale: Senato tutto proporzionale

Come detto vi sarebbe anche "un’intesa anche sulla fine del bicameralismo perfetto". Al Senato verrebbero assegnate altre funzioni e, quel che è peggio, verrebbe eletto, come il parlamento europeo, con un sistema proporzionale puro, con tanto di voti di preferenza (vedi sopra). Un simile cambiamento, oltre ad essere di dubbia opportunità (per usare un eufemismo) visto che sarebbe una riforma costituzionale fatta da una maggioranza ribaltonista, rinforzerebbe ulteriormente il carattere proporzionalista del sistema politico.

Conclusioni

Questa riforma riporta l'orologio della politica alla prima repubblica, alle consultazioni, ai governi balneari, alle crisi di governo perenni. Chi la propugna è disposto a barattare l'affossamento dell'odiato Berlusconi (e nel caso di Fini la propria sopravvivenza politica) in cambio dell'abbattimento di quel poco che gli Italiani hanno ottenuto: la possibilità di scegliersi un governo nelle urne.

Per ciò che riguarda il ribaltone sappiamo ora che non si tratterebbe di un governo tecnico avente il solo scopo di permettere l'approvazione di una nuova legge elettorale, ma si aprirebbe addirittura una più lunga fase di riforme costituzionali. Il tutto ovviamente sopra la testa dei cittadini sudditi.

lunedì 1 novembre 2010

Elezioni subito

Dato che in questi giorni si discute di una possibile sfiducia a Berlusconi, sfiducia che potrebbe portare il paese a un ribaltone parlamentare, colgo l'occasione per un breve accenno al perché sarebbe auspicabile, e lo sarebbe già stato, andare invece ad elezioni anticipate prima ancora che vi sia la crisi di governo, senza che una simile ipotesi venga vista in modo traumatico, o addirittura eversivo, da metà del paese.

Nelle condizioni politiche in cui siamo, in un paese normale, il capo del governo si recherebbe dal capo dello stato chiedendogli lo scioglimento delle camere. Il capo dello stato dovrebbe prima ottemperare a quanto prescritto dall'art. 88 della Costituzione (sentire il parere dei presidenti delle camere), dopo di che provvederebbe allo scioglimento anticipato delle camere indicendo nuove elezioni.

Se ciò avvenisse, il nostro sistema politico ne guadagnerebbe in razionalità e democraticità: non tanto perché gli elettori abbiano messo la croce sul simbolo "Berlusconi presidente", che è semmai un impegno fra loro e il PDL a sostenerlo e nulla più di un'indicazione al capo dello stato su chi occorre nominare, ma perché chi meglio del capo del governo in carica (nominato dal capo dello stato e fiduciato dal parlamento eletto dal popolo) può giudicare su cosa sia più opportuno per il paese?

A Londra in qualsiasi momento il primo ministro può recarsi dalla regina ed ottenere le elezioni anticipate. Ciò è possibile non perché vigano formalmente regole diverse (il potere di scioglimento anche lì è prerogativa del capo dello stato, cioè la corona), ma perché appunto la regina non si sognerebbe di mettersi a fare politica sconfessando il suo primo ministro.

Da noi invece Napolitano si rifiuterebbe di fare un ragionamento del genere. Purtroppo la concezione assemblearista del nostro sistema politico è egemone in dottrina, e la bugia che il presidente della repubblica avrebbe sempre il dovere di cercare una maggioranza in parlamento, e di evitare se possibile lo sciogimento anticipato delle camere è considerata una verità rivelata.

Se invece Napolitano acconsentisse con le buone, cioè senza passare per inutili crisi di governo, consultazioni, mandati esplorativi, governi di transizione, etc., il nostro paese ne guadagnerebbe in credibilità. Si dice infatti che le elezioni sarebbero una iattura, che gli speculatori abbandonerebbero i nostri titoli di stato, che andremmo verso l'incertezza: balle.

Se Berlusconi ottenesse le elezioni da primo ministro in carica, in primo luogo non si dimetterebbe (e quindi il governo resterebbe nella pienezza dei suoi poteri), in secondo luogo anche il parlamento (ex art. 61 della Costituzione) conserverebbe tutti i suoi poteri fino all'insediamento delle nuove camere. La campagna elettorale durerebbe qualche settimana, e, se Berlusconi addirittura vincesse le elezioni, non occorrerebbero nemmeno la formazione di un nuovo governo e i relativi voti di fiducia, dato che rimarrebbe in carica l'attuale.

Viceversa ciò che potrebbe innervosire gli investitori è la percezione dell'incertezza. E l'incertezza è la conseguenza dell'instabilità, che sarebbe a sua volta la conseguenza della crisi di governo e della lunga fase di pre-campagna elettorale che ne seguirebbe.

Ovviamente nessuno può escludere che le elezioni diano un parlamento senza maggioranza, e di qui una fase di incertezza. Ma la ragione per cui occorrono oggi nuove elezioni è proprio che la maggioranza attuale, quella indicata dal popolo, non c'è più.