Dato che in questi giorni si discute di una possibile sfiducia a Berlusconi, sfiducia che potrebbe portare il paese a un ribaltone parlamentare, colgo l'occasione per un breve accenno al perché sarebbe auspicabile, e lo sarebbe già stato, andare invece ad elezioni anticipate prima ancora che vi sia la crisi di governo, senza che una simile ipotesi venga vista in modo traumatico, o addirittura eversivo, da metà del paese.
Nelle condizioni politiche in cui siamo, in un paese normale, il capo del governo si recherebbe dal capo dello stato chiedendogli lo scioglimento delle camere. Il capo dello stato dovrebbe prima ottemperare a quanto prescritto dall'art. 88 della Costituzione (sentire il parere dei presidenti delle camere), dopo di che provvederebbe allo scioglimento anticipato delle camere indicendo nuove elezioni.
Se ciò avvenisse, il nostro sistema politico ne guadagnerebbe in razionalità e democraticità: non tanto perché gli elettori abbiano messo la croce sul simbolo "Berlusconi presidente", che è semmai un impegno fra loro e il PDL a sostenerlo e nulla più di un'indicazione al capo dello stato su chi occorre nominare, ma perché chi meglio del capo del governo in carica (nominato dal capo dello stato e fiduciato dal parlamento eletto dal popolo) può giudicare su cosa sia più opportuno per il paese?
A Londra in qualsiasi momento il primo ministro può recarsi dalla regina ed ottenere le elezioni anticipate. Ciò è possibile non perché vigano formalmente regole diverse (il potere di scioglimento anche lì è prerogativa del capo dello stato, cioè la corona), ma perché appunto la regina non si sognerebbe di mettersi a fare politica sconfessando il suo primo ministro.
Da noi invece Napolitano si rifiuterebbe di fare un ragionamento del genere. Purtroppo la concezione assemblearista del nostro sistema politico è egemone in dottrina, e la bugia che il presidente della repubblica avrebbe sempre il dovere di cercare una maggioranza in parlamento, e di evitare se possibile lo sciogimento anticipato delle camere è considerata una verità rivelata.
Se invece Napolitano acconsentisse con le buone, cioè senza passare per inutili crisi di governo, consultazioni, mandati esplorativi, governi di transizione, etc., il nostro paese ne guadagnerebbe in credibilità. Si dice infatti che le elezioni sarebbero una iattura, che gli speculatori abbandonerebbero i nostri titoli di stato, che andremmo verso l'incertezza: balle.
Se Berlusconi ottenesse le elezioni da primo ministro in carica, in primo luogo non si dimetterebbe (e quindi il governo resterebbe nella pienezza dei suoi poteri), in secondo luogo anche il parlamento (ex art. 61 della Costituzione) conserverebbe tutti i suoi poteri fino all'insediamento delle nuove camere. La campagna elettorale durerebbe qualche settimana, e, se Berlusconi addirittura vincesse le elezioni, non occorrerebbero nemmeno la formazione di un nuovo governo e i relativi voti di fiducia, dato che rimarrebbe in carica l'attuale.
Viceversa ciò che potrebbe innervosire gli investitori è la percezione dell'incertezza. E l'incertezza è la conseguenza dell'instabilità, che sarebbe a sua volta la conseguenza della crisi di governo e della lunga fase di pre-campagna elettorale che ne seguirebbe.
Ovviamente nessuno può escludere che le elezioni diano un parlamento senza maggioranza, e di qui una fase di incertezza. Ma la ragione per cui occorrono oggi nuove elezioni è proprio che la maggioranza attuale, quella indicata dal popolo, non c'è più.
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