Sostengono i grillini che il parlamento possa già sin d'ora legiferare senza che essi debbano dover scegliere se dare o meno la fiducia al nuovo governo; e che anzi l'attuale governo, pur dimissionario, può andare avanti. Altri, fra cui Massimo Bordin di Radio Radicale, sostengono invece che che il parlamento non possa neppure funzionare nelle more di una crisi di governo. Chi ha ragione? Vediamo.
Andiamo per ordine. Monti ha formalmente presentato le dimissioni, e Napolitano le ha accettate. Qui sorge una prima domanda:
Le dimissioni del governo hanno valore giuridico? Sì, perché oltre a manifestare la volontà di Monti di cessare dalla carica, nel momento in cui sono accettate divengono ufficiali mediante la controfirma del relativo decreto. E l'effetto giuridico di ciò è che le dimissioni legittimano il Presidente della Repubblica a nominare un nuovo capo di governo. Cosa che altrimenti non potrebbe fare: infatti il Presidente della Repubblica non può dimissionare né il governo, né il suo presidente, né i singoli ministri (poteva farlo al tempo dello Statuto Albertino).
Vi sono altre conseguenze giuridiche delle dimissioni? Qui la questione è meno chiara. Il governo, si dice, resta in carica per il disbrigo degli affari correnti. Ma non esiste una definizione esatta di cosa affari correnti o ordinaria amministrazione significhino esattamente.
Cosa è classificabile come affare corrente e cosa non lo è? Il governo per definizione esegue ciò che la legge dispone. Se la legge ad esempio prevede che entro una certa data il governo debba presentare il DPEF (o come si chiama oggi), nonché la legge di bilancio, il governo è tenuto a farlo. E se invece presentasse un disegno di legge di riforma del codice della strada, oppure presentasse un decreto legge contenente misure per inasprire la lotta alla criminalità di strada, violerebbe forse la legge? Quindi la domanda è:
Se il Consiglio dei Ministri dimissionario deliberasse nuove iniziative politiche, i suoi membri (o coloro che li firmano) rischierebbero l'incriminazione per attentato alla costituzione? Per attentare alla costituzione occorre averne violato una o più norme. Ma in questo caso quali? La costituzione non dice esplicitamente che un governo dimissionario non possa proporre leggi o emanare decreti legge. E né lo si desume dall'insieme del testo.
Quindi la risposta è: no, il governo, finché è in carica, può deliberare nuove iniziative legislative.
Ma può il governo dimissionario fare davvero tutto ciò? Sì, se rispettivamente il Presidente della Repubblica e il Parlamento glielo consentono. Esempio: se il governo fa un decreto legge, il Presidente può rifiutarsi di controfirmarlo. Se presenta una proposta di legge il parlamento può bocciarla. Questo è in realtà il vero significato del restare in carica per il disbrigo degli affari correnti: siccome le dimissioni sono la conseguenza di una crisi politica, il governo non ha di fatto la forza di fare alcunché di rilevante. Ma in teoria avrebbe il diritto e il potere di farlo. In altre parole non stiamo discettando di cosa sia legale, ma di cosa sia politicamente fattibile.
Allora esiste una prorogatio del governo? La costituzione prevede esplicitamente la prorogatio delle camere quando le nuove non siano ancora riunite (dal che consegue che teoricamente a livello costituzionale Fini e Schifani potrebbero ancora convocare quelle precedenti per farle deliberare). Ma non prevede esplicitamente quella del governo.
Per cui per rispondere occorre fare qualche un passo indietro e chiarire un concetto di base:
Che cos'è il governo? Il governo è lo Stato. È il potere statale. Di chi è il potere statale? Del capo dello stato, che è il sovrano. Un tempo era il Re, oggi è il Presidente della Repubblica (che lo esercita nei limiti della costituzione, nelle forme della democrazia, rispondendo al parlamento, etc, etc., ma questo è un altro discorso). Per cui:
Che cos'è il governo (2)? È l'organo plenipotenziario a cui il sovrano delega l'esercizio del potere statale.
Il che, tradotto in norme costituzionali vigenti, significa che il Presidente della Repubblica ha l'obbligo di esercitare la sua sovranità. Che in quanto tale è per definizione senza soluzione di continuità. A tal fine la costituzione prevede sia la prorogatio in caso di fine mandato presidenziale e le camere non provvedano ad eleggere il nuovo presidente, sia le procedure in caso di impedimento.
Quindi, considerato che il Presidente della Repubblica ha l'obbligo costituzionale di assicurare che il governo eserciti detta sovranità, e che il governo è di fatto il sovrano (delegato dal Presidente della Repubblica), la conseguenza logica è che il governo deve essere necessariamente sempre nella pienezza dei poteri.
Quindi la risposta è: un governo dimissionario ha gli stessi poteri di uno normalmente in carica. E l'ulteriore conseguenza è che il Parlamento può legiferare normalmente.
C'è un però. Torniamo alle dimissioni del governo: esse sono state accettate e controfirmate. Ora il Presidente deve nominare un nuovo governo. Perché se non lo facesse rischierebbe che l'attuale prima o poi, per una ragione o per un'altra, cessi di funzionare. Siccome entro dieci giorni dalla nomina occorre il voto di fiducia del Parlamento, affinché la nomina vada a buon fine egli può o nominare un capo del governo gradito alle camere oppure può scioglierle nella speranza che nuove elezioni diano un contesto più favorevole. Napolitano ha sciolto le camere. Ora deve incaricare qualcuno. In teoria potrebbe scioglierle di nuovo, e poi continuare a scioglierle a oltranza finché le elezioni non danno una maggioranza chiara, ma così finirebbe per boicottare surretiziamente il potere legislativo venendo meno ai suoi doveri istituzionali. Quindi darà l'incarico a qualcuno di formare un nuovo governo, e questi, se accetterà, entro dieci giorni si presenterà alle camere per la fiducia. E lì finiranno le illusioni dei grillini e del Prof. Becchi di riformare il paese senza governarlo.
Ovvero: in teoria i grillini hanno ragione, ma in pratica, prima o poi (più prima -e più spesso- di quanto credano) saranno chiamati ad esprimersi su di un voto o una questione di fiducia.
C'è un'ipotesi residuale: il Napolitano e Monti firmano un decreto che revoca quello precedente delle dimmissioni. Roba da operetta. Tecnicamente dubbio, ma non impossibile. Violerebbe le prerogative del parlamento? No, perché questo non ha mai sfiduciato il governo. E in seguito a detto contro-decreto potrebbe comunque farlo.
Ma c'è un'altra ipotesi residuale: Napolitano potrebbe avviare (e passare al suo successore) una lunga negoziazione fatta di consultazioni, incarichi, rinunce, mandati esplorativi e quant'altro il lessico della prima repubblica ha coniato. La cosa potrebbe durare a lungo. Settimane, mesi, o anche anni, come in Belgio. Nel frattempo il paese, come detto, va governato. E sarebbe parimenti insostenibile che durante tutto questo tempo le camere restino congelate.
Veniamo ora al Parlamento. Quando il governo si dimette, si dice che le camere sono convocate a domicilio. Il che significa che i presidenti non convocano sedute, ma lo faranno quando il governo sarà operativo, notificando successivamente al domicilio dei parlamentari la nuova convocazione.
Perché durante una crisi di governo l'attività parlamentare è sospesa? Perché il governo, stante la situazione di incertezza, non è in grado di contribuire all'indirizzo politico del paese. Perché per definizione durante una crisi, il governo non sa quale sia la sua maggioranza parlamentare e se ce ne sia una. Quindi non è in grado di prendere posizione con piena cognizione di causa su quanto viene dibattuto.
Oltre a ciò, il parlamento sospende l'attività deliberativa, perché nelle more di una crisi politica la legge X approvata oggi potrebbe benissimo essere contraddetta dalla legge Y approvata l'indomani su proposta di un nuovo governo e maggioranza. Ovvero: provare a legiferare mentre le forze politiche negoziano il futuro del paese è nella maggior parte dei casi insensato, inefficiente, nonché una perdita di tempo.
Bordin fa poi notare che durante i voti in parlamento viene chiesto il parere del governo: la ratio di ciò è di assicurare la coerenza sistematica di quanto viene approvato: con il parere del governo i parlamentari hanno un'indicazione delle conseguenze (a dire del governo, ovviamente) che l'approvazione della norma comporterebbe. Ed è un'indicazione che solo il governo, con i suoi strumenti di conoscenza, analisi, previsione e gestione della cosa pubblica, può dare. Ma teoricamente nulla vieta a un governo dimissionario di dare i suoi pareri, se richiesti dal parlamento.
Conclusioni. I grillini possono legittimamente invocare lo scenario della prorogatio, ma deve essere chiaro che stanno proponendo un modello politico assembleare, in cui la centralità del potere è del Parlamento, e in cui il governo è ridotto a una mera appendice esecutiva dell'assemblea.
Chi propone un modello del genere, che ricorda i tempi della Rivoluzione Francese, ne prefigura uno in cui la nave non è più guidata dal capitano (pur legittimato democraticamente e coi contrappesi del caso), ma in cui ogni manovra viene di volta in volta decisa da una votazione dei marinai nella stiva, a colpi di maggioranza e a maggioranze magari variabili. In pratica un bordello in cui la responsabilità del buono o del cattivo governo sarebbe di tutti e di nessuno. Ovvero l'opposto del modello Westminster al quale abbiamo cercato di ispirarci nella seconda repubblica.
Ogni modello è legittimo, ma si sappia che se si toglie potere al governo si torna dritti alla prima repubblica.
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